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Ripristinare i controlli alle frontiere? «Un costo per la Ue di 100 miliardi»

La reintroduzione stabile di controlli alle frontiere dello spazio Schengen potrebbe costare all’Europa più di 100 miliardi di euro in dieci anni in termini di Pil perduto. La stima è del think-tank governativo francese France Strategie, che ha diffuso uno studio sulle conseguenze della stretta per Parigi e per l’Europa.

Il dazio da pagare, pari allo 0,8% del Pil previsto da qui al 2025 per i Paesi dell’area, deriva in primo luogo dall’impatto che un’Europa con più barriere avrebbe sul turismo, in particolare sulla spesa turistica, e sul commercio. I costi immediati del ripristino dei controlli ci sono, ma nel breve termine sono limitati. Più pesante l’impatto degli stessi controlli nel medio-lungo termine che - secondo l’istituto guidato da Jean Pisani-Ferry - sarebbero equivalenti a una tassa del 3% sull commercio tra i Paesi dello spazio Schengen, tale da determinare una flessione strutturale degli scambi del 1o-20 per cento. Ci sono poi ulteriori ripercussioni, più difficili da calcolare, sugli investimenti e sui flussi finanziari.

Lo studio si concentra naturalmente soprattutto sulla Francia, che da sola pagherebbe la stretta alle frontiere 1-2 miliardi nel breve termine, soprattutto per il calo delle presenze turistiche (50% dei costi) e per l’impatto che le misure avrebbero sui lavoratori transfrontalieri (38%). Nel lungo termine, però, il costo per Parigi salirebbe a 10 miliardi all’anno, lo 0,5% del Prodotto interno lordo francese.

Già sei dei 26 Paesi membri dello spazio Schengen hanno reintrodotto controlli temporanei alle frontiere per far fronte al flusso record di migranti arrivati in Europa soprattutto dal Medio Oriente - oltre un milione nel 2015 - o alla minaccia terroristica. In settembre la Germania, a fronte di un’ondata eccezionale di profughi favorita dalla politica della porta aperta di Angela Merkel, ha ristabilito controlli di identità alle frontiere; poi sono arrivate Austria e Slovenia; la Francia ha sospeso Schengen a novembre, all’indomani degli attentati di Parigi; all’inizio dell’anno si sono aggiunte Svezia e Danimarca. Emblematica (e in linea con lo studio di France Strategie) è la reintroduzione di controlli sul Ponte di Øresund, che collega Copenhagen a Malmöe, che ha causato immediate ripercussioni per i numerosi lavoratori frontalieri.

Il vero rischio, di cui si discute a Bruxelles e nelle cancellerie europee in questi giorni, è il prolungamento dei controlli fino a due anni, un’opzione consentita dall’articolo 26 del Codice Schengen in presenza di una situazione eccezionale. Un’ipotesi che non sembra più così remota.

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