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la fine dell’italiano in egitto

Egitto, Giulio Regeni collaborava come giornalista sotto pseudonimo. «Temeva per la sua incolumità»

Giulio Regeni, il giovane italiano trovato morto in fosso al Cairo, probabilmente ucciso la notte del 25 gennaio, giorno dell’anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir, collaborava con il quotidiano “Il Manifesto” e usava uno pseudonimo «perché temeva per la sua incolumità». Lo riferisce all'Ansa la redazione del quotidiano comunista, precisando che il giovane si occupava in particolare dei sindacati egiziani. Altro finora non si sa anche perché, spiega la Farnesina, nei giorni scorsi la famiglia ha chiesto il massimo riserbo e non è ancora chiaro se questa seconda occupazione oltre alle ricerche per l’università, sono solo un dettaglio della biografia della vittima o potrebbereo fornire nuove motivazioni su quello che gli è successo.

Uno degli amici egiziani di Regeni, che ha preferito rimanere anonimo, ha rivelato al quotidiano filogovernativo Al-Ahram che voleva intervistare «attivisti per i diritti dei lavoratori» per la sua ricerca sull'economia egiziana. Ciò collima con il suo interesse per i sindacati, ma non è chiaro se quella sera Giulio fosse in giro per il Cairo in veste di dottorando o di giornalista.

La fonte ha spiegato di aver ricevuto diverse email e telefonate da Regeni che gli chiedeva contatti di attivisti per i diritti dei lavoratori da poter intervistare per la sua ricerca. L'amico del dottorando ha aggiunto che Regeni gli aveva promesso che non sarebbe uscito per fare le interviste o per le ricerche sul campo fino al 25 gennaio, giorno del quarto anniversario della rivoluzione che portò alla caduta di Hosni Muabarak. «Poi, la mattina del 25 gennaio, Regeni mi ha inviato un messaggio chiedendomi se ci fossero programmi per la festa di compleanno di uno dei nostri amici. Da allora non l'ho più sentito», ha aggiunto la fonte. «Sono stato convocato dalla sicurezza dopo la scomparsa di Regeni. Le loro domande erano focalizzate sullo scopo della sua visita e sugli studi», ha concluso.

Regeni era arrivato al Cairo ad ottobre per studiare arabo e condurre ricerche sul campo per il suo dottorato sui movimenti sindacali. Un argomento «sensibile in Egitto» quello studiato dal giovane italiano, scrive in una corrispondenza il «New York Times», sul quale il governo del Cairo ha «cercato di reprimere molte forme di dissenso». Ma secondo la supervisor di Regeni all'Università Americana del Cairo, Rabab el-Mahdi, lo studente italiano «si era sempre tenuto alla larga da qualunque cosa fosse politicizzata». Anne Alexander, ricercatrice dell'Università di Cambridge e, come Regeni, esperta di movimenti operai egiziani, si è detta preoccupata per la sua morte e ha lanciato l'allarme per la sicurezza degli altri ricercatori che lavorano in Egitto, in particolare per quelli che affrontano temi delicati.

«Ci aspettiamo da parte delle autorità egiziane un'inchiesta approfondita, rapida e indipendente. La tortura in Egitto è un fatto comune e ordinario e Regeni era scomparso in un giorno di particolare tensione, il 25 gennaio, quinto anniversario della caduta di Hosni Mubarak» ha sottolineato il direttore generale di Amnesty International Italia, Gianni Rufini.

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