LONDRA
La generosità del mondo va oltre le aspettative e, almeno sulla carta, mette sul tavolo della Siria più di dieci miliardi di dollari. A tanto ammonta il denaro contante, i pagherò, la cancellazione di debiti pregressi, i prestiti a tassi agevolati che si sono materializzati al Queen Elizabeth Centre di Londra dove si è svolta la quarta conferenza dei Paesi donatori organizzata da Gran Bretagna, Germania, Norvegia, Kuwait, Onu.
La terza s’era svolta in Kuwait e gli impegni non superarono i 5 miliardi, molti dei quali non ancora sdoganati. Questa volta le cose dovrebbero andare con maggiore celerità se è vero quanto ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, precisando che «almeno 6 miliardi di dollari saranno resi disponibili nel corso del 2016». Una gara di solidarietà guidata da Berlino che ha assicurato 2,3 miliardi di dollari, seguita da Londra con 1,7, Norvegia con 1,1, Francia un miliardo circa e Stati Uniti con circa 900 milioni. «L’Italia – ha detto il ministro degli esteri Paolo Gentiloni - garantirà 400 milioni di dollari che per il nostro Paese sono uno sforzo straordinario». Nel 2015 l’assegno sotto la voce aiuti umanitari non superò i 25 milioni.
A che cosa serviranno questi danari? Secondo il premier britannico David Cameron per «salvare vite umane, aiutare i Paesi che ospitano i profughi e per l’istruzione dei bambini sfollati. Turchia, Giordania e Libano, che hanno ricevuto la gran parte dei 4,6 milioni di uomini donne e bambini in fuga si sono impegnati a garantire accesso alle scuole, scongiurando il dramma temuto di una generazione perduta». Quello siriano è un conflitto che – come ha ricordato il Gentiloni – ha lasciato sul campo fra morti e feriti «il 5% della popolazione, costretto il 20% a rifugiarsi all’estero e imposto alla metà almeno di abbandonare le città di residenza».
Ban Ki-moon ha fatto presente che «non c’è sufficiente accesso umanitario alle vittime, mentre l’intensificazione delle azioni militari complica lo sforzo delle organizzazioni internazionali». Parole confermate dal ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, che ha denunciato il movimento verso la Turchia di almeno 70mila siriani. In realtà il commento del rappresentante di Ankara va inquadrato nel braccio di ferro fra i russi e l’esercito di Assad da un lato e quelle milizie, sostenute dalla Turchia, che si battono contro il regime di Damasco dall’altro.
Il dissidio crescente fra le forze in campo - a cui l’Arabia Saudita si è detta disponibile a unirsi, affermando ieri tramite un portavoce militare di essere pronta a inviare truppe in Siria se la coalizione a guida Usa sarà d’accordo - è esploso a Ginevra dove si svolge la trattativa di pace coordinata dall’inviato dell’Onu Staffan de Mistura. La sospensione del negoziato ha steso, infatti, una lunga ombra sulla conferenza di donatori di Londra. Per questo sulla Russia - considerata l’unica potenza in grado di far ripartire la trattativa, abbandonando ogni idea di soluzione militare del conflitto - si è concentrata l’attenzione dei diplomatici occidentali. Dal segretario di stato Usa, John Kerry, che ha chiesto la sospensione immediata dei bombardamenti di Mig e Sukhoi, al ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, che ha attaccato «le azioni brutali del regine di Damasco» con l’aiuto di Mosca.
Gentiloni ha ribadito che «l’Italia da anni sostiene che la soluzione del conflitto può essere solo politica». E per questo ha auspicato un ruolo «più costruttivo della Russia».
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