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Grave ombra nei rapporti economici Italia-Egitto

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L'Analisi|Tra giustizia e realpolitik

Grave ombra nei rapporti economici Italia-Egitto

Fra le criticità e le opportunità offerte dall’Egitto, l’Italia e le sue imprese hanno sempre guardato più alle seconde che alle prime. Come ogni altro principale Paese investitore. Tutti hanno sempre saputo che fare business laggiù non è facile: burocrazia, opacità, mancanza di regole certe. Ma lo fanno.

È dal 2006 che Intesa San Paolo opera con AlexBank, l’unico istituto di credito straniero in Egitto, sotto la minaccia di un contenzioso legale contro la sua acquisizione: «Svendita di patrimonio nazionale», dicono gli appellanti che probabilmente non rappresentano solo se stessi ma interessi politici più forti. Sono molte le aziende che, come AlexBank, conoscono la difficoltà di operare nel Paese. Tuttavia fuori dalla porta dell’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi c’è la coda.

L’Arabia Saudita e gli altri arabi del Golfo hanno garantito aiuti finanziari per una ventina di miliardi di dollari. Recentemente il nuovo re Salman ha offerto un altro assegno da 8 miliardi nei prossimi cinque anni. In aggiunta ai cinque che sborserà la Banca Mondiale. Anche la missione italiana guidata da Federica Guidi, drammaticamente interrotta dalla morte di Giulio Regeni, aveva progetti da miliardi di cui discutere: alcuni già concreti, altri pieni di promesse come gli investimenti chiesti da al-Sisi per costruire sei porti a Nord e Sud del nuovo Canale di Suez.

E poi c’è Zhor, il super-giacimento di gas da 850 miliardi di metri cubi, scoperto l’estate scorsa da Eni. Poche altre attività economiche come questa, create o promesse da aziende straniere, sono una garanzia di ricchezza per l’Egitto. Ma occorre tempo. Le operazioni di estrazione sono incominciate il giorno dopo Natale ma il gas non sarà in produzione prima del 2018 o 2019. E per il momento verrà destinato solo al mercato interno. Il picco di estrazione dovrebbe essere raggiunto nel 2024 per incominciare ad esaurirsi verso il 2040. In gran parte sarà un lavoro dell’Eni.

Ma accanto a questo c’è un altro business nel quale gli italiani partono con qualche vantaggio. Zhor e le altre scoperte nella zona faranno delle coste egiziane un gigantesco hub mediterraneo per l’estrazione, la lavorazione e l’esportazione di gas. Porti, gasdotti, infrastrutture.

Ma da ieri un’ombra grava su tutto questo. La nostra presenza, i nostri interessi condivisi con quelli degli egiziani, possono essere uno strumento di pressione sul governo del Cairo per avere una modica quantità di verità e di giustizia sulla morte di Giulio Regeni? Matteo Renzi è stato il primo leader occidentale a incontrare Abdel Fattah al-Sisi. E l’unico, meno di un anno fa, a partecipare al vertice economico di Sharm el-Sheikh sul quale il presidente egiziano contava per lanciare i suoi faraonici progetti.

Diversamente dagli altri europei, il governo italiano non si è segnalato per le critiche alle ripetute violazioni dei diritti umani commesse da quello egiziano. Abbiamo sempre preferito il realismo di un Egitto stabile piuttosto che un po’ più democratico. Non è una scelta necessariamente brutale, osservando la mappa del Medio Oriente e ricordando che l’Egitto ha 90 milioni di abitanti. Non è vero che è “troppo grande per fallire”. Può fallire e, grande e affollato com’è, provocare un caos inimmaginabile.

Ma è sull’economia, cioè sul denaro, gli investimenti che producono occupazione (il 27% degli egiziani fra i 18 e i 29 anni è disoccupato e il 51,2%vive attorno o sotto la soglia di povertà) che abbiamo qualche capacità per chiedere conto della morte di Giulio. Lo faremo? È auspicabile ma è difficile. Xi Jinping aveva preceduto di pochi giorni la missione italiana, offrendo strabilianti occasioni di business: come è noto i cinesi non confondono gli affari con i diritti umani. Né lo fanno i russi, gli ultimi grandi venuti fra i clienti dell’Egitto. E in fondo nemmeno inglesi, francesi e americani sono così rigorosi quando si devono vendere squadriglie di caccia Rafale. C’è ressa alle porte dell’Egitto come di ogni regime che abbia un peso economico e geopolitico. Se usciamo dalla coda, gli altri in attesa sono solo contenti. Ma questo non esclude che un Paese autorevole – se con l’Egitto lo siamo – mostri comunque la sua dignità e chieda giustizia.

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