Commozione, ma anche voglia di verità. Il mondo accademico britannico, che Giulio Regeni frequentava da studente dell'Università di Cambridge, dove stava realizzando una ricerca sulla formazione di sindacati indipendenti nell'Egitto post-Mubarak, si mobilita dopo la morte del dottorando di Fiumicello.
A trasmettere la rabbia ed a farsi promotore delle richieste dei suoi colleghi e studenti è Neil Pyper, professore alla Coventry University, dove dirige la Scuola di Strategia e Leadership, con un intervento pubblicato prima sul sito The Conversation e questa mattina sul Guardian.
«Le università britanniche hanno da tempo adottato una prospettiva internazionale (...) producendo importanti ricerche scientifiche sin dalla metà del secolo scorso - scrive Pyper -. L'assassinio di Giulio è una sfida chiara e diretta a questa cultura e richiede una risposta».
«Le università hanno chiaramente il dovere di badare alla sicurezza dei loro studenti e del loro personale. Questo generalmente si realizza attraverso comitati etici. Tuttavia - fa sapere ancora - c'è il pericolo che una gestione del rischio troppo zelante influisca sulla capacità dei ricercatori di svolgere il loro lavoro. Ci sono però dei limiti a ciò che le istituzioni accademiche possono fare da sole. E' fondamentale che i governi denuncino casi come quelli di Giulio e spingano con forza per indagini complete».
«Le autorità italiane ed egiziane hanno annunciato un'indagine congiunta, ma il governo britannico ha il dovere di far sentire la sua voce - prosegue -. Deve trasmettere il messaggio che qualsiasi abuso da parte delle autorità su studenti e ricercatori provenienti da università britanniche non sarà tollerato. Avvieremo una petizione per chiederlo, noi amici e colleghi di Giulio ci impegneremo in questo senso nei giorni e nelle settimane a venire».
«L'assassinio di Giulio - sostiene ancora - è una sfida diretta alla libertà accademica che è un pilastro del nostro sistema di istruzione superiore. Giulio è solo uno dei tanti studiosi arbitrariamente arrestati, e spesso sottoposti a abusi, in Egitto. Come comunità accademica e come società, abbiamo il dovere di combattere per proteggere chi studia in luoghi pericolosi di tutto il mondo».
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