Mondo

Suez, metafora di un Egitto che non mantiene le promesse

  • Abbonati
  • Accedi
La Sisi-nomics in panne

Suez, metafora di un Egitto che non mantiene le promesse

Niente definisce la figura di al-Sisi, il suo successo e le aspettative dell'Egitto, quanto le 45 miglia del nuovo canale di Suez e gli 8 miliardi di dollari, raccolti in gran parte dalla gente, per scavarli. E non metaforicamente ma con badili e strumenti meccanici, erano stati gli egiziani a farlo: cioè il Genio dell'esercito. L'inaugurazione di agosto, monumentale, spettacolare ma caoticamente organizzata, era stata una metafora dell'Egitto di oggi. Scoprire che ad ottobre, dopo tanto impegno nazionale, gli introiti sono calati del 3% è stata una delusione.

La causa principale è la crisi globale, il rallentamento dei commerci. Ma il canale, i miliardi raccolti e promessi dal business internazionale per i grandi investimenti strutturali, sono al momento l'unico successo tangibile della “Sisi Economics”, molto simile al modello di sviluppo che aveva reso ricca la Cina, prima del suo rallentamento. Su tutto il resto – riforme interne, burocrazia, piccola e media impresa, trasparenza, occupazione, riserve valutarie – le cose non funzionano come era stato promesso. Nonostante la larghezza dell'aiuto economico a scopo politico di sauditi ed emirati del Golfo.

«Pane, libertà e giustizia sociale», era lo slogan della grande rivolta iniziata cinque anni fa in piazza Tahrir. Ma anche se al-Sisi, il suo governo e i militari, si sentono i continuatori e non gli oppressori di quella rivoluzione, nessuno di quegli obiettivi è stato raggiunto. Quanto a libertà, l'Egitto ne ha molta di meno di quella scarsa che godeva ai tempi di Hosni Mubarak. Ma anche sul piano sociale ed economico non si vedono risultati. Il vecchio regime aveva fallito nel creare equità sociale, ma per anni la crescita economica è stata solida, superiore al 5%.

Alla fine dell'anno scorso, un mese fa, la disoccupazione era al 12,8%, calcolata su una forza lavoro “ufficiale” di 28 milioni di egiziani. Meglio del 2013, quando cadde il governo dei Fratelli musulmani, ma peggio dell'anno scorso. Il problema è che la manodopera informale disponibile è molto più vasta. I giovani fra i 20 e i 30 anni sono circa il 30% della popolazione e il 30% di loro è disoccupato. I militari del Genio impiegati nello scavo del nuovo canale di Suez sono stati un esempio di patriottismo, ma ciò significa che per il momento i grandi progetti infrastrutturali non sono ancora diventati il desiderato serbatoio di occupazione.

Dovrebbe esserlo il gigantesco progetto per la costruzione di un milione di nuove case, ma l'inizio dei lavori è bloccato. Il mega giacimento di gas scoperto da Eni al largo delle coste mediterranee è una promessa per il futuro: ma nel frattempo il governo deve garantire la distribuzione di energia per il 2016. I blackout e la benzina scomparsa ai distributori provocarono il crollo del consenso per l'ex presidente Mohammed Morsi, permettendo ai militari di agire nell'estate 2013. A questo si aggiunge il turismo, fonte di valuta e di manodopera del Paese, preso di mira dal terrorismo islamico. Perfino nel fortilizio di Sharm el Sheikh, presidiato dalle forze di sicurezza.

Era nella doppia promessa di sicurezza e sviluppo economico che al-Sisi aveva ottenuto il sostegno di milioni e milioni di egiziani, per abbattere il governo di Morsi. La prima è stata garantita al prezzo di leggi speciali applicate con una brutalità che non esisteva ai tempi di Mubarak. Per il secondo occorre più tempo ma gli egiziani non ne vedono i segnali. A partire dalla burocrazia – 5,6 milioni di dipendenti pubblici per le statistiche governative, 7,2 milioni secondo la Banca mondiale – che sembra potente, opaca, inefficiente e irriformabile.

© Riproduzione riservata