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Perché l’effetto palla di neve ha colpito i mercati e quando…

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scenari sulle borse

Perché l’effetto palla di neve ha colpito i mercati e quando potrà tornare il sereno

Sui mercati finanziari si sta creando quello che in gergo tecnico viene definito “effetto palla di neve”. Le proporzioni e la violenza del ribasso a cui stiamo assistendo - in particolare sulle Borse meno liquide - sono più che un segnale che sia scattato una sorta di effetto panico. L’aspetto più significativo che al momento non sta arrestando le vendite di breve periodo - al di là di ripetuti rimbalzini del “gatto morto” nella prima mezz’ora di scambi - è anche l’assenza di prese di posizioni da parte delle autorità monetarie e politiche. Stupisce in questo senso il silenzio dei banchieri centrali e da questo punto di vista il prossimo incontro della Bce previsto il 10 marzo pare lontano anni luce.

Da inizio anno Piazza Affari ha perso il 25,7% della capitalizzazione, superando addirittura il -23% della Borsa di Shanghai (che però questa settimana è chiusa per festività). È chiaro che per frenare il clima di incertezza sui mercati sarà necessaria qualche forte presa di posizione da parte dei banchieri centrali: oggi e domani potrebbe farlo Janet Yellen, che sarà in audizione al Congresso.

Così come per arrestare la tempesta sui bond governativi dell’Eurozona nell’estate 2012 ci volle (e bastò) una frase di Draghi, il famoso “whatever it takes”, ci vorrebbero in questo momento altri due “whatever it takes” per calmare le acque e far sì che gli investitori possano tornare a guardare con più serenità ai fondamentali: uno sulle banche europee e un altro sul petrolio.

Le banche europee stanno pagando ancora una volta l’incapacità decisionale (soprattutto nel momento in cui si devono mettere in atto dei meccanismi di solidarietà coordinati) dell’Europa. L’aver lanciato a gennaio il bail-in (un meccanismo che prevede che le banche in difficoltà non potranno chiedere aiuti statali ma rivolgersi in primo luogo ai propri azionisti, in seconda battuta agli obbligazionisti e al terzo giro ai correntisti per le somme oltre i 100mila euro) senza aver creato in parallelo un fondo europeo a garanzia dei depositi è una pecca grave. Che pesa chiaramente in questa fase in cui i mercati non hanno le idee chiare sulle entità delle sofferenze che le banche europee dovranno svalutare in bilancio.

Allo stesso tempo, il fatto che Paesi Opec e non Opec continuino a scontrarsi, piuttosto che creare un accordo sulla riduzione della produzione del petrolio, è un altro elemento di turbolenza che favorisce la speculazione al ribasso sul petrolio e che meriterebbe appunto un “whatever it takes”.

In assenza di ciò sui mercati finanziari sta andando in scena l’effetto «palla di neve». Perché i mercati hanno più paura di quello che non sanno. Preferiscono avere cattive notizie che navigare nel buio. All’effetto palla di neve contribuiscono in modo determinante dei fattori tecnici. Lo si capisce dal fatto che stanno scendendo paradossalmente più i titoli fino a poco tempo fa considerati solidi e a maggiore capitalizzazione rispetto a titoli di società meno solide. Come mai? «I fondi ricevono ordini di vendita dovuti e sono quindi costretti a ridurre, o addirittura a svuotare le posizioni - spiega un gestore del settore private banking - Dato che i fondi hanno in portafoglio i titoli migliori e più solidi, sono costretti a vendere proprio questi. Vendite slegate dai fondamentali delle singole aziende che obiettivamente in questa fase iniziano a quotare con degli sconti importanti».

Un altro motivo tecnico che alimenta l’effetto palla di neve è il Var, Value at risk. A molti clienti viene associato un Var, un livello massimo di rischio che può sopportare in portafoglio. Ad esempio può essere previsto che un determinato portafoglio non può perdere più del 5% in una settimana. Se questo livello viene sfondato il gestore è costretto a vendere, non tanto perché non crede nella solidità dei titoli in portafoglio, quanto perché è costretto a farlo automaticamente per il fatto che l’elevata volatilità dei mercati ha fatto scattare il limite del Var.

Questi fattori tecnici spiegano che una buona parte delle vendite è al momento slegata dai fondamentali e sarebbe solo in parte giustificata se i mercati andassero effettivamente a prezzare lo scenario peggiore: quello di un ritorno della recessione come accadde nel 2009.

Ma al momento i dati macro che arrivano dagli Usa indicano un rallentamento della crescita e non una recessione. «Di conseguenza - conclude il gestore - gli investitori che non hanno posizioni farebbero bene a mantenersi liquidi e magari a valutare un piano di accumulo graduale a prezzi che iniziano a farsi interessanti. Chi invece è “dentro”, ovvero è investito in questa fase di tempesta, potrebbe valutare di ricalibrare l’orizzonte temporale, soprattutto se il portafoglio è costituito da titoli solidi, che sarebbero i primi a ripartire non appena i mercati dovessero tornare, ma solo dopo una forte presa di posizione da parte delle autorità, a concentrarsi sui fondamentali e fare nuovamente stock picking, ovvero a distinguere le singole società e a non fare, come accade in questo momento, di tutta l’erba un fascio».

twitter.com/vitolops

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