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I LISTINI OSCURI

Quanto c’entra la finanza ombra («dark pool») con il crollo delle Borse?

  • –di Enrico Marro

La recente maxi multa inflitta dalle autorità americane a Barclays e Credit Suisse (oltre 154 milioni di dollari complessivi) per «violazione di leggi federali» ha riacceso i fari sulle dark pools (letteralmente, “piscine oscure”), rese a suo tempo celebri dal bestseller di Michael Lewis Flash Boys: A Wall Street Revolt. Ma cosa sono esattamente queste “piscine oscure” e chi ci nuota dentro?

Cosa sono le dark pools
Sono gigantesche piattaforme finanziarie non trasparenti, esterne ai circuiti regolamentati. Non espongono pubblicamente i prezzi. Le utilizzano i grandi investitori istituzionali per concludere enormi transazioni nel più totale anonimato. Con il grande vantaggio, rispetto alle normali Borse, di minimizzare i costi della negoziazione e lo stesso impatto sul mercato (il cosiddetto market impact). Questo perché quando un operatore istituzionale deve eseguire un ordine di grandi dimensioni, finisce con il muovere il mercato a suo sfavore: acquistando in enormi quantità provoca un rialzo delle quotazioni, mentre se vende i suoi maxi ordini trascinano i prezzi al ribasso. Una dinamica che si fa sentire in particolare su titoli poco liquidi, quelli per esempio di società a media o bassa capitalizzazione. Nelle dark pools tutto questo invece succede in misura molto minore, perché non si sa chi sta effettuando la transazione e a che prezzo. Ci si muove, appunto, nell’oscurità.

Chi le ha messe in piedi
Tutte le grandi banche internazionali hanno le loro dark pools. Una ricerca di Bloomberg Intelligence, basata su dati Finra e condotta il mese scorso, rivela che le maggiori appartengono a Ubs (14,4% del totale), Credit Suisse (13,6%), IEX (10,7%, l’unico non essere un grande istituto di credito), Deutsche Bank (7,6%), Morgan Stanley (7,2%), Jp Morgan Chase (4,9%), Merril Lynch (4,8%) e Barclays (3,9%). Il loro peso, cresciuto di anno in anno, nel 2015 è arrivato a rappresentare il 7,22% del valore degli scambi sulle Borse europee (dati Batz Europe), superando di slancio l’8% il mese scorso. Ancora più macroscopico è il fenomeno negli Stati Uniti, dove Bloomberg stima che il 20% del controvalore degli scambi avvenga su mercati non trasparenti.

Le multe negli Stati Uniti
La maxi multa a Barclays e a Credit Suisse si deve proprio alle accuse di scarsa trasparenza verso i clienti. La banca svizzera, secondo il procuratore generale dello Stato di New York, avrebbe sistematicamente dirottato ordini verso Crossfinder, la sua dark poll, dichiarando invece ai clienti di non aver dato la priorità ad alcuna piattaforma. Mentre Barclays è accusata, tra l’altro, di aver utilizzato nella sua dark pool flussi di dati lenti per determinare i prezzi di mercato, dopo aver invece promesso ai clienti feed ultraveloci per evitare gli arbitraggi. Arbitraggi - cioè guadagni ottenuti sfruttando i disallineamenti dei prezzi - che fanno arricchire i famosi software di negoziazione ad alta velocità, gli HFT (High Frequency Trading) descritti proprio da Michael Lewis nel suo Flash Boys. Sotto accusa sono alcune pratiche di trading rapaci condotte sul filo dei nanosecondi dagli HFT proprio nelle piattaforme “oscure”.

Cosa c’entrano le dark pools con il crollo di Borsa?
Il problema delle dark pools è che oggi - con i loro misteriosi prezzi - sono diventate così importanti da confondere e a volte persino distorcere i prezzi reali. Qual è la quotazione giusta? Quella che vedo sulla normale Borsa o quella che è appena passata con un ordine colossale sulla dark pool? Le piattaforme oscure, inoltre, in momenti di grande stress sui listini, possono inoltre contribuire al caos: non sono trasparenti, non sono adeguatamente regolamentate e - considerando la mole di transazioni - rischiano di trascinare con loro il resto del sistema finanziario, a partire dalle normali Borse.

Quindi le dark pools sono da abolire?
No, perché danno la possibilità a grandi investitori istituzionali (come i fondi pensione) di operare sul mercato a costi ridotti, con beneficio del cliente, ossia il piccolo risparmiatore. Ma la mancanza di trasparenza di queste piattaforme rischia di moltiplicare conflitti d’interesse delle banche, oltre alle pratiche rapaci da parte dei software HFT. Con il pericolo concreto di aumentare lo stress sui mercati quando i prezzi cadono a picco.
Da qui la necessità di regolamentazione. In Europa, la futura direttiva Mifid 2 prevede che le negoziazioni di uno strumento finanziario non possano superare il 4% dei volumi di ogni singolo titolo su di una singola dark pool, che sale all’8% dei volumi totali di ogni singolo titolo su tutte le piattaforme “oscure”. Peccato che la Mifid 2 entri in vigore solo nel 2018. Se tutto va bene.

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