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Uno spiraglio verso la verità

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L’ANALISI

Uno spiraglio verso la verità

Qualcuno ricorderà Mohammed Saeed al-Sahhaf, meglio conosciuto come Alì il Comico. Nel 2003 era il ministro dell’Informazione di Saddam Hussein. Gli americani erano già dentro Bagdad.

Ma lui continuava a raccontare alla stampa di tutto il mondo che le truppe irachene stavano respingendo e decimando il nemico. Riuscito miracolosamente a fuggire, fu scritturato nel talent di una tv degli Emirati dove ancora vive.

Senza volerlo, al-Sahhaf era riuscito a regalare qualche minuto quotidiano di comicità nella tragedia dell’inutile invasione americana dell’Iraq: voleva essere l’inizio della democratizzazione forzata del Medio Oriente ma fu l’inizio della fine del Medio Oriente. Se dimenticassimo per un istante l’arresto, le torture, l’agonia e la morte insensata di Giulio Regeni, anche i ministri, i generali di polizia e gli ambasciatori egiziani che sono intervenuti sul caso, sarebbero stati capaci di farci ridere.

La prima archiviazione poliziesca del caso come incidente stradale. Poi il ministro degli Interni «infastidito» dalle «insinuazioni» della stampa italiana sul coinvolgimento degli apparati dello Stato. La cosa apparentemente più comica è stata la promessa del ministro, un generale, di trattare il caso «come se Giulio fosse un egiziano». Voleva rassicurare. Invece, come poi dimostrato, era una minaccia. Il giovane italiano ha fatto la stessa fine di centinaia e centinaia di coetanei egiziani, spariti nelle carceri.

Poi c’è stato l’ambasciatore egiziano a Roma, minaccioso: continuando così voi italiani metterete a repentaglio le relazioni economiche con l’Egitto. Infine il ministro degli Esteri con la perla del paragone con le migliaia d’immigrati egiziani, vittime quotidiane della malavita italiana. «Se dovessi insinuare che ogni attività criminale è legata al governo italiano, sarebbe molto difficile condurre relazioni internazionali». Oltre ad essere offensivo con gli italiani, Sameh Shoukry, il ministro, lo è stato anche con i suoi connazionali. Chiunque la conosca, sa che al Cairo non c’è criminalità e che i pochi banditi di strada non torturerebbero la loro vittima, come è accaduto a Giulio. Nel caos creativo del traffico del Cairo si muore poco anche d'incidente stradale. Le principali cause di decesso sono i terroristi e l’uso indiscriminato della lotta al terrore che applica la polizia.

Poi sono arrivati gli americani a raccontarci come sono andate le cose. Ma per quanto il New York Times sia il primo giornale al mondo, i suoi segugi non avrebbero trovato tre ufficiali pronti a raccontare come sono andate le cose se qualcuno al governo – dove c’è ancora gente con il senso della giustizia – non glieli avesse fatti trovare.

E’ da qui che bisogna ripartire per avere giustizia e riprendere quella collaborazione politica, economica e culturale che fino alla tragedia di Giulio aveva distinto i rapporti fra Egitto e Italia. C'è ora un’ombra sui cinque miliardi d’interscambio, sulla grande scoperta del mega-giacimento di Zohr fatta dall’Eni e carica di opportunità future, sull’impegno di migliaia d’imprenditori italiani in Egitto. Non è difficile fugarla. Basta ammettere una verità scomoda ma ormai ineludibile. Come diceva qualche giorno fa Pier Ferdinando Casini, noi italiani «siamo pazienti ma non ingenui».

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