
Dato che in Cina nulla accade per caso, relegare il super-rimbalzo dello yuan di ieri a un mero fenomeno finanziario sarebbe riduttivo. Il motivo principale di questo rally è infatti politico. È probabile che il governo cinese, in vista della sua prima presidenza del G-20, abbia voluto giocare un «jolly» a sorpresa: quello della stabilizzazione dello yuan. Il 26 e il 27 febbraio Shanghai ospiterà infatti per la prima volta il summit dei 20 Grandi della Terra: un evento che per il Paese è molto importante, sia dal punto di vista simbolico sia da quello strategico. È ragionevole dunque pensare che il Governo voglia evitare che questo summit avvenga nel mezzo di un terremoto finanziario globale che ha come epicentro proprio la Cina. E siccome niente può preparare meglio la “festa” del G-20 di un bel rimbalzo dello yuan e di tutte le Borse, il «jolly» è stato giocato senza esitazione.
Il rialzo della valuta cinese di ieri non è infatti avvenuto per caso. Il motivo ha anzi un nome ben preciso: Zhou Xiaochuan, presidente della Banca centrale cinese. È stato lui, con un'intervista rilasciata nel weekend dopo un lungo silenzio, a preparare il terreno per la riscossa della valuta cinese. Zhou ha innanzitutto affermato che non sussistono i presupposti per nuove svalutazioni dello yuan (dopo quelle operate tra agosto e dicembre che hanno creato panico sui mercati globali), dato che la bilancia dei pagamenti è in buona forma e che non ci sono preoccupanti fughe di capitali dalla Cina. Il presidente ha anche aggiunto che non bisogna impensierirsi se la Cina ha recentemente bruciato riserve valutarie.
Queste affermazioni possono essere considerate per molti versi opinabili. La fuga di capitali dalla Cina è infatti poderosa e dura da 22 mesi di fila: solo nell'intero 2015 - stima Bloomberg Intelligence - sono scappati dal Paese circa mille miliardi di dollari, seguiti da altri 133 miliardi nel mese di gennaio. È questa fuga di capitali ad aver creato le pressioni al ribasso sullo yuan, che la banca centrale ha cercato di contrastare bruciando riserve valutarie: non a caso dai massimi del 2014 le riserve sono diminuite di 770 miliardi, da 4mila fino agli attuali 3.230 miliardi di dollari. Per questo molti economisti sono convinti che Pechino debba svalutare ulteriormente la moneta: perché sostenerla costa troppo. Ma il presidente della Banca centrale ha messo la parola fine a questa convinzione: non c'è ragione - ha detto - per ulteriori svalutazioni. È vero che anche ad agosto aveva pronunciato parole analoghe e poi si era rimangiato la promessa. Ma questo importa poco: quello che conta è che in vista del G-20 la sua dichiarazione sia riuscita a ridare smalto allo yuan e alle Borse mondiali.
La prima presidenza cinese del G20 è infatti un evento epocale, che il Governo vuole giocare bene con l'opinione pubblica nazionale e internazionale. Non bisogna dimenticare - ricorda Antonio Cesarano di Mps Capital Services - che Pechino ambisce al riconoscimento della Cina come economia di mercato. Questa è la vera partita che il Paese vuole giocare sul tavolo internazionale. La presidenza del G-20, dunque, assume per il Governo un valore strategico fondamentale: sarebbe un guaio se, in presenza di nuovi crolli di Borsa, il dibattito dovesse virare sulla stabilità finanziaria più che sui temi che stanno a cuore a Pechino. I preparativi per il summit devono quindi essere curati nei minimi dettagli. Inclusa, chissà, la «spintarella» allo yuan: non sia mai detto che un appuntamento così importante sia guastato dai soliti speculatori internazionali...
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