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Petrolio, il congelamento della produzione basterà? Taglio non…

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Analisi e inchieste

Petrolio, il congelamento della produzione basterà? Taglio non più rinviabile

Che ci fanno il potente ministro saudita del petrolio, Ali al-Naimi, e il suo omologo russo, Alexander Novak, seduti insieme a un tavolo con le loro nutrite delegazioni nella capitale del Qatar?

Il vertice a porte chiuse che si è svolto stamattina a Doha, a cui hanno partecipato anche il ministro venezuelano dell'Energia, Eulogio Del Pino e quello del Qatar, illustra con efficacia il drammatico momento che stanno vivendo i maggiori esportatori mondiali di petrolio. Secondo le prime indiscrezioni la decisione sarebbe stata un congelamento degli attuali livelli produttivi (quelli toccati lo scorso gennaio). In modo da evitare che l'attuale eccesso di offerta, la principale causa del crollo delle quotazioni, si ampli ulteriormente accelerando la caduta dei prezzi.

È bastata comunque la sola notizia dell'incontro a porte chiuse a far balzare le quotazioni del greggio Wti, petrolio di riferimento in Nord America, del 5,1 per cento a 30,9 dollari al barile. Poi, dopo la diffusione dei dettagli, il greggio si è sgonfiato.

A parole sono sempre stati tutti d'accordo. Occorre fare qualcosa per fermare la disastrosa caduta delle quotazioni petrolifere. E agire subito, affinché il prezzo del barile si risollevi dai minimo degli scorsi giorni, sotto i 30 dollari al barile, e si assesti su valori più accettabili.

Il problema, semmai, era cosa fare. In teoria sarebbe necessario un taglio concertato – e sostenuto - della produzione petrolifera mondiale, deciso non solo dai Paesi dell'Opec ma anche dai principali produttori esterni al Cartello, in prima linea la Russia. Nessuno, tuttavia, se l'è mai sentita di iniziare per primo.

La situazione sta diventando insostenibile per le casse di molti esportatori di greggio, molti dei quali alle prese con disastrosi deficit dei rispettivi budget governativi (quello saudita nel 2015 ha sfiorato i 100 miliardi di dollari) ed altri, come Russia e soprattutto Venezuela, sprofondati in una pericolosa recessione.

Ecco perché, dopo mesi di tentennamenti e tentativi falliti, oggi, a Doha, in Qatar, russi e sauditi, i due maggiori produttori mondiali, si sono incontrati per decidere sul da farsi.
Rimuovere quell'eccesso di produzione (almeno due milioni di barili al giorno) che pesa come una zavorra sui mercati internazionali del greggio è ormai una priorità non più rinviabile. C'è troppo petrolio ,oggi, rispetto all'anemica crescita dei consumi. Un taglio produttivo sarebbe stato dunque la decisione più ragionevole. Riad era anche d'accordo, ma ha puntualizzato: tutti, e proprio tutti, dovranno contribuire alla riduzione. Un obiettivo troppo ambizioso. Ecco perché avrebbe prevalso – ma la notizia non ufficiale è da prendere con cautela - la proposta venezuelana: se non proprio dei tagli alla produzione, quantomeno congelare gli attuali livelli.

Il problema è che la disciplina non è mai stata il punto di forza dei paesi membri del Cartello. Già nel 2015 l'Opec aveva aumentato la produzione di 2,6 milioni di barili al giorno, attribuendo l'aumento a Iraq, Arabia Saudita e alla ripresa delle esportazioni iraniane.

Se Caracas preme da mesi per un'azione decisa finalizzata a risollevare le quotazioni petrolifere, altri Paesi non ne vogliono proprio sapere di stringere i rubinetti.
Dopo anni di sanzioni internazionali, l'Iran sta ora cercando di aumentare le esportazioni. L'obiettivo è riversare sui mercati un milione di barili al giorno nell'arco di sei mesi. Per Teheran è indispensabile riconquistare la sua quota di mercato – vendendo, come starebbe facendo, anche il petrolio a prezzi inferiori a quelli già bassi – pur di riprendersi i clienti. L'Iraq, da parte sua, ha disperato bisogno di liquidità per finanziare la costosissima guerra contro l'Isis. Per non parlare dei produttori africani come Nigeria e Angola, disperatamente in cerca di risorse economiche per placare il malcontento delle loro rispettive popolazioni, di cui una buona parte vive sotto la soglia di povertà.
In verità un'intesa tra i russi e i sauditi non sarebbe una novità. Quindici anni fa, nel 2001, si arrivò a un accordo tra produttori Opec e produttori esterni al Cartello per frenare la produzione globale. Mosca manifestò la sua volontà a partecipare alla decisione, ma poi non mantenne scrupolosamente il suo impegno.

Igor Sechin, il capo della major nazionale russa Rosfnet e uno dei personaggi più vicini a Vladimir Putin, si era più volte pronunciato contro un taglio produttivo. La scorsa settimana ha però annunciato che sarebbe sensato per tutti i produttori petroliferi rimuovere un milione di barili al giorno dai mercati. Senza peraltro specificare se Mosca sia disponibile a contribuire a “questa necessità” .

Il problema comunque resta. Due domande, senza risposta, pesano come macigni; basterà un congelamento della produzione – sempre che la decisione sia stata veramente presa - a risollevare i prezzi? E soprattutto: i maggiori paesi esportatori tradurranno veramente in realtà gli impegni presi?

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