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Rublo debole e agevolazioni fiscali: il petrolio cala ma la Russia non…

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LA CRISI VISTA DA MOSCA

Rublo debole e agevolazioni fiscali: il petrolio cala ma la Russia non taglia

Arabia Saudita e Russia - i due principali produttori ed esportatori mondiali di petrolio - hanno concordato un congelamento della produzione, e non un taglio, e per giunta potenziale: «Dobbiamo compiere un passo alla volta», ha detto il ministro saudita del Petrolio, Ali al-Naimi. Ma non è affatto detto, almeno per quanto riguarda i russi, che i prossimi passi vadano nella stessa direzione: a dispetto delle apparenze, finora le compagnie petrolifere non sono state influenzate particolarmente dai bassi prezzi del petrolio. Il rublo che accompagna i cali del greggio è un vantaggio per loro, che guadagnano dollari e trovano così molto più conveniente investire in rubli. Risultato, lo scorso anno la produzione è tornata ai massimi dell’era post-sovietica, in aumento dell’1,5% sul 2014: fino al record di gennaio, 10,88 milioni di barili al giorno. Sono questi i livelli a cui verrà applicato il “congelamento”, e i livelli a cui si attesterà la produzione russa nel 2016, come ha chiarito il ministro russo Aleksandr Novak. Difficile aspettarsi un impatto duraturo sui prezzi. Del resto - concordano quasi unanimi gli osservatori - il governo russo ha le risorse finanziarie per tenere testa ai 30 dollari il barile ancora per un po’. Almeno per un anno.

Preoccupati - come tutti gli altri produttori Opec - di perdere quote di mercato a vantaggio della concorrenza, i russi spiegano la propria riluttanza a ridurre la produzione e le difficoltà che incontrerebbero indicando la struttura frammentata del settore, composto da diverse compagnie private, e ricordando il clima gelido in cui operano, con costi superiori a quelli dei produttori del Golfo. In realtà da sempre in Urss e in Russia la produzione viene regolata in base alle stagioni; e lo Stato. che da una parte controlla con Rosneft circa metà della produzione, ha certamente influenza anche sulle decisioni dell’altra metà affidata ai privati, in maggioranza uomini molto vicini a Vladimir Putin.
La realtà è che le compagnie russe hanno in programma di aumentare la produzione, non di ridurla. Aiutate dalla svalutazione del rublo che le fa spendere meno nell’acquisto di nuovi macchinari e nelle trivellazioni, nei mesi scorsi hanno completato una serie di investimenti che quest’anno vedranno entrare in produzione nuovi importanti giacimenti, anche a compensazione di quelli più maturi - nella Siberia occidentale - dove la produzione sta calando per cause naturali. Se Lukoil, la compagnia più esposta all’estero, è anche la più propensa ad accettare un taglio, Bashneft, Gazpromneft (il braccio petrolifero di Gazprom), e Novatek giocano tutte al rialzo: approfittando, peraltro, delle esenzioni fiscali previste per i nuovi giacimenti.

L’intero sistema fiscale russo gioca a vantaggio delle compagnie, e - se i prezzi calano - ai danni del budget pubblico. Le major russe pagano infatti tre tipi di imposte, in gran parte legate non all’andamento del prezzo ma alla quantità del petrolio che estraggono ed esportano. Se il prezzo cala le compagnie pagano meno tasse, e sono i conti dello Stato a soffrirne. Per questo il ministero delle Finanze ha iniziato a lanciare segnali minacciosi: è necessario che il settore del petrolio - che con i guadagni dell’export garantisce il 40% delle entrate - faccia di più. «L’approccio più probabile - spiega Emily Stromquist, analista di Eurasia Group - sarà un aumento dell'imposta Met (applicata all'estrazione dei minerali) sia per i produttori di petrolio che di gas, tra questa primavera e il 2017». Già l’anno scorso è stato posticipato il taglio dei dazi all’export. E il grande rischio è che l’effetto congiunto di prezzi bassi persistenti e tasse in aumento cominci a incidere sugli investimenti e poi sulla produzione futura, e sul “cuscinetto” di riserve su cui lo Stato può contare. Per la Russia e la tenuta dei suoi conti, il grande nemico è il tempo.

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