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La famiglia Regeni: non era una spia

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Medio Oriente

La famiglia Regeni: non era una spia

Quello di Giulio Regeni è diventato un caso di informazioni e disinformazioni finite in un gioco al massacro tra apparati e tra Stati. Mentre la verità autentica sulla barbara uccisione del ricercatore, forse, non si saprà. Ma la fibrillazione di una serie di ambienti internazionali è evidente e costante. Non a caso emerge che il suo rapporto di lavoro con l’università di Cambridge è stato intenso, copioso: con una mole non comune, se non speciale, di ricerche e dunque di informazioni trasmesse oltre Manica sull’Egitto, il suo regime, i suoi oppositori.

Regeni, poi, ha lavorato per Oxford Analytica: società di intelligence analysis che annovera nel board John Negroponte, ex direttore della United States Intelligence Community, e sir Colin McColl, ex capo del M16. Tanto basta a spiegare pressioni Usa e inglesi, accuse e controaccuse, presunte rivelazioni sui media anglosassoni, in un intreccio che si allarga fino a ipotizzare conflitti tra società petrolifere multinazionali e tensioni per i possibili accordi sul nuovo governo in Libia. Per rimanere sul concreto, però, ci sono almeno due accertamenti fondamentali, per l’Italia, in corso di svolgimento: uno giudiziario, l’altro di intelligence. Dopo l’audizione al Copasir (comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) dell’ambasciatore Giampiero Massolo (Dis-dipartimento informazioni e sicurezza) ci sarà un nuovo passaggio giovedì prossimo con Alberto Manenti (Aise-agenzia informazioni e sicurezza estera).

Gli interrogativi in ballo sono numerosi:  sapeva l’Aise, e quanto sapeva, dei rapporti di Regeni con il Regno Unito? Aveva il nostro servizio estero stimato il livello di rischio a cui Regeni si stava avvicinando, vista la delicatezza del suo lavoro di ricercatore che, peraltro, non poteva non conoscere? Se è vero, com’è stato detto, che Manenti era al seguito della missione al Cairo del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi - poi tornata subito in Italia proprio per la notizia della morte di Regeni - il direttore dell’Aise ha avuto subito, in quelle ore, un adeguato rendiconto dal capo dei servizi egiziani? Interrogativi diplomatici, ma anche di intelligence e insomma di governo.

Il lavoro giudiziario della procura di Roma, intanto, prosegue incessante: anche ieri ci sono stati interrogatori. Al Cairo sono stati ascoltati i due coinquilini di Giulio Regeni. L’audizione è stata svolta dalla polizia egiziana e dal pool di investigatori italiani dei carabinieri del Ros e dello Sco della polizia di Stato. L’obiettivo è di ricostruire gli ultimi giorni di Giulio, prima che di lui si perdessero le tracce il 25 gennaio scorso, mentre assieme al docente italiano al Cairo, Gennaro Gervaso, si dirigeva nell’abitazione dell’anziano professore egiziano Hassamein Kashek, ritenuto un dissidente «culturale» al regime di al-Sisi. La pista investigativa che la procura di Roma segue riguarda il lavoro didattico svolto da Giulio, che parlava in modo fluente inglese, spagnolo e arabo. Uno studioso della società egiziana, dei moti rivoluzionari e sindacati indipendenti: con tutta probabilità, potrebbero essere il motivo per cui sarebbe finito nel mirino delle autorità egiziane.

L’ipotesi è che sia stato scambiato per una spia - ma di nuovo ieri la sua famiglia lo ha smentito - il cui compito era di inviare informazioni in Gran Bretagna. Di certo c’è che questi studi sarebbero finiti in una tesi che sarebbe dovuta essere consegnata alla docente di Cambridge Maha Abdelrahman, nota in Egitto per essere in opposizione al regime, tanto da criticarne la presa di potere e il metodo di governo in numerose pubblicazioni. Emblematiche le parole di Emma Bonino a SkyTg24: «La realtà dell’Egitto, così fosca e opaca, è sotto i nostri occhi da parecchi anni. I rapporti di Amnesty International e di Human Rights Watch ce l’hanno detto in tutti i modi. Ma tutte le cancellerie europee hanno fatto finta di non vedere».