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Con gli Usa un'escalation sempre più pericolosa

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ANALISI

Con gli Usa un'escalation sempre più pericolosa

Si è mai visto un alto papavero militare dare pubblicamente del bugiardo a un Capo di Stato straniero? In sostanza l'ha fatto ieri da Tokyo – dove era in corso il secondo Simposio internazionale sulla Legge del Mare organizzato dal governo giapponese – Harry B. Harris Jr, Comandante del US Pacific Command, il comando unificato di tutte le forze armate statunitensi per l'Oceano Pacifico e buona parte dell'Oceano Indiano. Se davvero – ma ormai è una certezza – la Cina ha piazzato un avanzato sistema missilistico terra-aria nell'isola Woody (Yongxing) delle Paracel, ha dichiarato l'ammiraglio (di madre giapponese), questa mossa rappresenta una «militarizzazione del Mar Cinese Meridionale in modi che il presidente Xi aveva negato di voler fare». Un commento che segnala come la carenza di fiducia tra i due attori egemoni nell'area regionale stia raggiungendo un livello di guardia.

La notizia è trapelata, tra l'altro, proprio in chiusura del primo vertice tra Usa e Paesi dell'Asean in California, il cui comunicato finale non è riuscito a includere un riferimento diretto all' “assertività” regionale della Cina, nel proclamare genericamente l'impegno a risolvere pacificamente le dispute territoriali e ad assicurare la libertà di navigazione. Evidentemente, qualcuno dei 10 Paesi si è opposto, a partire da quello che ha la presidenza di turno della neonata Asean Community, il Laos (il più legato a Pechino). Se il presidente Obama ha ribadito che gli Usa «continueranno a volare, navigare e operare ovunque il diritto internazionale lo consenta» supportando «il diritto di altri Paesi a fare lo stesso», Harris ha precisato che le forze armate americane effettueranno «più numerose e più complesse» operazioni di Freedom of Navigation nel Mar cinese meridionale.

Navi e aerei da guerra Usa, insomma, si riservano di entrare in aree anche a meno di 12 miglia da isolette su cui la Cina esercita una sovranità contestata da alcuni Paesi limitrofi e sulle quali negli anni recenti ha accelerato i lavori di “land reclamation” e di costruzione di strutture a potenziale utilizzo militare. Il portavoce del governo Abe, Yoshihide Suga, ha altresì affermato che non sono accettabili azioni unilaterali finalizzate a cambiare lo status quo. Washington e alleati, insomma, tendono a vedere nell'ultimo episodio la conferma di piani di militarizzazione finalizzati in ultima analisi a trasformare in un lago cinese un tratto di mare dove passa ogni anno un commercio internazionale dal valore superiore ai 5mila miliardi di dollari.

Fa da cattivo presagio che l'isola Woody, in passato anche francese e giapponese, fu teatro nel 1974 di uno scontro armato tra Cina e Vietnam. Il timore che ormai aleggia è che Pechino intenda in futuro proclamare una zona di identificazione per la Difesa aerea sul modello di quella annunciata verso la fine del 2013 sopra le isole Senkaku (Mar cinese orientale), amministrate dal Giappone e rivendicate da Pechino. Una mossa alla quale Washington reagì mettendo in chiaro che, pur senza prendere posizione sulla questione ultima della sovranità, le Senkaku sono coperte dal Trattato di Difesa con il Giappone: un eventuale attacco impegnerebbe il Pentagono alla guerra se Tokyo, come è scontato, reagisse. Ora i rischi di conflitto, anche accidentale, sembrano destinati ad aumentare. Il punto di vista cinese è inconciliabile: la Cina può fare quel che vuole in tutto il suo territorio; l'isola in questione ha già una presenza militare e di recente è diventata un nuovo distretto amministrativo; i lavori di upgrading nelle isole favorirebbero la sicurezza della navigazione, ad esempio con nuovi fari; sarebbero gli Usa a perseguire un egemonismo in casa d'altri. C'è poi chi ha fatto notare che il presidente Xi a settembre aveva promesso, nell'incontro con Obama, di non militarizzare le isole Spratly (oggetto di un contenzioso con le Filippine) ma nulla ha detto sulle più vicine Paracel, situate a circa 300 km dall'isola di Hainan dove è sorta una nuova base navale.

L'obiettivo cinese è forse quello di proteggere quella base ed eventualmente di limitare la libertà di navigazione anche aerea nel tratto tra Hainan e le Paracel. Pechino, inoltre, ha fatto gravi rimostranze alla prospettiva che sia dispiegato in Corea del Sud il sistema antimissilistico THAAD, che ormai Seul richiede in reazione alle accresciute capacità nucleari e balistiche nordcoreane. Il ministro degli esteri Wang se l'è presa ieri con «media occidentali» che infiammano questioni che non dovrebbero nemmeno porsi. In effetti, un conflitto mediatico oltre che diplomatico si sta intensificando. È più che mai necessario che resti tale.

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