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Londra e l'incognita dei conservatori

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Londra e l'incognita dei conservatori

LONDRA - «Per quanto ne so un accordo ancora non c'è». Erano le prime ore di un altro lungo giorno per David Cameron quando Boris Johnson, sindaco uscente di Londra e leader in waiting del Tory party, ha sibilato sull'uscio di Downing Street poche parole che non svelano, ancora, le sue mosse. Se, contro ogni aspettativa, il primo cittadino della capitale dovesse affossare l'accordo finale al centro del vertice europeo di oggi e domani, la partita sul Brexit si avviterebbe in una spirale preoccupante.

È l'unico esponente del partito in grado di esercitare un'influenza importante, forse decisiva, su un popolo incerto. Dirà la sua solo quando l'intesa sarà definita «perché – hanno fatto sapere i suoi collaboratori più stretti – è davvero indeciso». La prima bozza non lo aveva entusiasmato e quel laconico «si può fare di più» era bastato per tracciare scenari apocalittici, con la spaccatura verticale del governo e del partito e l'opinione pubblica lasciata al vento delle ambizioni politiche dei singoli. Al di là delle convinzioni personali, infatti, la scelta di sostenere o meno l'intesa che potrà uscire dal summit dipende da come i candidati alla successione di David Cameron intendono posizionarsi.

Gli altri euroscettici dell'inner circle Tory, soprattutto quelli con responsabilità di governo – Boris Johnson è deputato, ma non siede nell'esecutivo – stanno scaldandosi. Theresa May ministro dell'interno ha già annunciato il sostegno al deal che David Cameron vuole mettere a punto. Esteri, Difesa e Industria sono nelle mani di ministri non certo eurofanatici, ma un loro pronunciamento contro il premier pare, ora, improbabile. Il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne è ufficialmente il chief negotiator e quindi da lui non è immaginabile il “pollice verso” all'accordo che David Cameron negozia oggi.

A guidare le batterie dei ministri favorevoli a Brexit sarà Chris Grayling responsabile dei rapporti con il parlamento, affiancato, crediamo, da Ian Duncan Smith titolare di Pensioni e Previdenza sociale. Pezzi grossi, ma non abbastanza da mobilitare le masse. Solo Boris Johnson ha la forza di solleticare pancia e cuore di un popolo incapace di risolvere l'eterno dilemma del rapporto con l'Europa continentale ancor prima che con l'Unione europea.

Il sindaco vorrebbe vedere rafforzati due punti rispetto alla bozza originaria: la sovranità di Londra versus Bruxelles e la garanzia sul valore legale dell'accordo prima di sottoporlo a referendum. Se il primo è passaggio-trappola che rischia di sbattere contro tutte le istituzioni Ue prima ancora che contro le capitali, il secondo non è solo lavoro da Azzeccagarbugli, come David Cameron si deve essere sentito ripetere due giorni fa all'Europarlamento. L'intesa, lo ricordiamo, non potrà essere immediatamente inserita nei Trattati in quanto nessuna capitale è pronta a riaprirli. Fonti vicine al governo hanno ribadito anche ieri che l'intesa eventuale «avrà valore di legge e sarà irreversibile». E le stesse fonti pur esprimendosi in toni vagamente ottimistici non negano che le asperità riguardano i soliti due punti: assegni familiari ai lavoratori intra-Ue con figli non residenti in Gran Bretagna che il gruppo di Visegrad, polacchi in testa, continua a rivendicare e la governance economica di un mercato unico con più valute. «Si discute sul meccanismo che potrà innescare l'accesso di un contenzioso al Consiglio europeo», hanno precisato le fonti vicine all'esecutivo.

Una zeppa all'integrazione Ue? È quello che temono molte capitali. Londra non pretende un veto che non otterrà mai. E dice anche di riconoscere la centralità del single rule book del mercato interno, ma nelle pieghe del compromesso punterà a mantenere una definizione quanto più possibile vaga. Equivoca abbastanza da permettere a David Cameron di cantare vittoria, imbarcando nel sì all'Ue anche Boris Johnson, l'uomo che potrebbe condannare l'attuale premier all'ultimo girone della Storia come responsabile ultimo del disastro che va sotto il nome di Brexit.

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