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«Consulta» in stile British

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LE MOSSE DI LONDRA

«Consulta» in stile British

LONDRA - Per far fronte a una richiesta impossibile, Londra, potrebbe escogitare per sé stessa una soluzione creativa, inattesa e, formalmente, fuori dal menù presentato a Bruxelles. La vera questione che attraversa tutti i desiderata britannici è la rinazionalizzazione dei poteri delegati, recuperare, cioè, parte della sovranità che Westminster ha ceduto all'Unione.

Siano essi i benefit sociali ai lavoratori Ue, o la tutela delle prerogative della City, la domanda ai partner, ridotta ai minimi termini, è stata una sola: rimpatriare parte di quanto è stato concesso. E, quel che più conta, trovare il sistema per evitare future, nuove “fughe” a beneficio di Bruxelles per disinnescare una fronda crescente, capace di travolgere il premier David Cameron e distruggere i Tories, se è vero che anche un pezzo da novanta del partito come il ministro della Giustizia Michael Gove sarebbe pronto a battersi per il Brexit, come suggeriscono le voci della lunga notte lungo l'asse Londra-Bruxelles.

Come può la Gran Bretagna da sola creare più solide tutele per sé stessa, rimanendo nel consesso del mercato comune? Anche se la maggiore libertà sollecitata dal Regno Unito è alla fine, e fra mille difficoltà, giunta, almeno in parte, dalle capitali Ue, il governo conservatore ragiona su una soluzione “britannica” più radicale, con la creazione di un processo istituzionale capace di garantire alle norme europee un ulteriore imprimatur nazionale. O, per converso, una messa al bando. Vanno lette in questo modo le parole spese nei giorni scorsi da David Cameron in risposta all'euroscettico sindaco di Londra, Boris Johnson, che si interrogava su come i negoziati con l'Ue potessero «ristabilire l'autorità di Westminster». Il premier in quell'occasione fu esplicito: «Sono deciso ad andare anche più in là per dimostrare oltre ogni dubbio che il parlamento è sovrano...stiamo lavorando a questo in parallelo con la trattativa» a Bruxelles.

Uno scambio di battute che ha acceso la fantasia dei costituzionalisti britannici, attivissimi in un Paese che non ha Costituzione scritta. E il punto è proprio questo: mentre dalla Germania in giù i membri dell'Ue hanno una corte costituzionale capace, in teoria, di interferire sulla validità di una misura europea (è accaduto una sola volta, ndr), la Gran Bretagna non può appellarsi a un'istituzione identica. Tanto è bastato a scatenare un gran discettare sull'esegesi delle parole di David Cameron e sulla volontà di riformare le istituzioni esistenti per riempire il vuoto.

Una Costituzione per Londra? Non ci pensa nessuno, ufficialmente, anche se qualificati think tank analizzano uno scenario che promette di essere Brexit 2.0, ovvero l'altra metà dello scontro politico, ora che il negoziato Ue s'è concluso e in vista del referendum. E soprattutto l'altra metà della disfida anglo-europea sul ruolo di Londra nell'Ue. «In questi giorni – si legge in un rapporto di Open Europe istituto attivissimo sui temi dell'integrazione – si stanno moltiplicando le ipotesi sulle misure da adottare internamente per consolidare la sovranità parlamentare». Secondo il documento esistono due vie, oltre al potere di veto che i Ventisette non hanno concesso e non concederanno mai a Westminster: creare una corte costituzionale assegnando alla corte suprema il mandato esplicito di proteggere «i principi costituzionali fondamentali»; oppure conferire mandato alle corti di giustizia di considerare la sovranità parlamentare nelle dispute sulla legislazione europea.

Concetti imprecisi, forse, da mettere a punto in un contesto giuridico puntuale, ma diretti tutti a un obiettivo politico: recuperare la sovranità parlamentare nei limiti – che Londra intende estesi al massimo – dell'inevitabile cessione di poteri imposti dalla logica della partecipazione stessa a un qualsiasi consesso internazionale, sia essa l'Ue o un patto commerciale. La prossima partita politica, sia interna sia europea, si giocherà sulla “corte costituzionale” britannica, ultimo approdo per contenere l'Unione. Boris Johnson, sindaco uscente e aspirante premier, è già al lavoro. E oggi quando il consiglio dei ministri si riunirà a Downing Street per valutare il deal negoziato a Bruxelles sapremo con chi l'ex sindaco si schiererà e chi lo seguirà.

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