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Come evitare la «Japanization» : le idee di William Pesek

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Come evitare la «Japanization»: le idee di William Pesek

Giapponesizzazione” tra gli economisti e' una parola negativa che e' diventata il termine per indicare qualcosa che va evitato a tutti i costi.

Ed e' il titolo dell'ultimo libro di William Pesek, direttore di Barron's Asia ed ex commentatore per Bloomberg, con il sottotitolo “Cosa il mondo puo' imparare dai decenni perduti del Giappone”: il Sol Levante insomma, come paradigma di cosa non fare, esempio utile e non copiato per non piombare in un prolungato periodo di stagnazione, deflazione e impennata del debito in cui il Paese è incappato con il rinvio di necessarie riforme strutturali.
Come evitare la “giapponesizzazione” e' un quesito che riguarda molti Paesi e piu' di tutti la Cina, che - proprio come il Giappone agli inizi degli anni '90 - si presenta oggi con scompensi e bolle settoriali alla fine di un periodo di alta crescita, con il rischio di un atterraggio pesante della sua economia. Dopo lo scoppio della bolla immobiliare e borsistica che aveva fatto parlare del Giappone in termini che sono passati recentemente a identificare la Cina - ossia come un Paese indirizzato verso un primato mondiale, visto come minaccioso -, Tokyo scelse di non incidere sul “triangolo di ferro” tra politica, burocrazia e “big business”; varo' continui programmi di stimoli fiscali e monetari senza liberalizzare le dinamiche della sua economia e senza ridurre le “inefficienze istituzionali”; fu troppo lenta nel riconoscere e affrontare il problema dei crediti bancari inesigibili cosi' come nel migliorare la corporate governance. Molti dei mali che hanno fatto parlare di due “decenni perduti”, insomma, avrebbero potuto essere evitati.

Per Pesek, il primo a non aver imparato la lezione e' il Giappone stesso: a suo parere, l'Abenomics sa tanto di pubbliche relazioni e in fondo e' una lista di cose che il Paese avrebbe gia' dovuto attuare 15 anni fa. Ora che le politiche economiche promosse dal premier Shinzo Abe faticano a confermare anche l'iniziale successo nell'indebolire lo yen e spingere la Borsa, ne esplodono le contraddizioni. Delle cosiddette “tre frecce”, la seconda (stimoli fiscali) appare negletta e la terza (la piu' importante: le riforme strutturali) langue. Resta la prima freccia: la politica monetaria ultraespansiva. “L'Abenomics si e' trasformata in una Kurodanomics - afferma Pesek riferendosi al nome del governatore della Banca del Giappone nominato da Abe, Haruhiko Kuroda -. Ma diventano sempre piu' evidenti i limiti dello strumento monetario nel rilanciare l'economia, in mancanza di azioni incisive da parte del governo sul fronte delle riforme”.

Kuroda, insomma, puo' fare incetta di bond pubblici, comprare asset privati, spingere i tassi in negativo; ma non puo' da solo promuovere una vasta deregulation, spronare una nuova imprenditoria privata, aumentare la produttivita' e la meritocrazia, costringere le grandi imprese a condividere parte dei profitti record con i lavoratori attraverso significativi aumenti salariali, ridurre i lacci burocratici che frenano l'innovazione, abbassare le barriere all'interscambio internazionale, promuovere investimenti diretti esteri, liberare le energie inutilizzate delle donne, importare lavoro qualificato attraverso una liberalizzazione delle politiche sull'immigrazione e cosi' via.
Secondo Pesek, il premier Abe in futuro sara' ricordato non per l'economia, ma per la politica, ad esempio per la promozione di piu' stretti legami con gli Stati Uniti nella Difesa attraverso ardite modifiche di interpretazione costituzionale, o per il varo di norme restrittiva sulla tutela dei segreti di Stato. Non passera' alla storia per aver fatto ripartire il treno della terza economia mondiale.

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