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sterlina e dintorni

In caso di Brexit “effetto farfalla” su Usa, euro e Paesi emergenti

Il sindaco uscente di Londra, Boris Johnson, è andato giù duro: «La Gran Bretagna deve dire no all’Ue. È l’occasione di una vita per avere un cambiamento vero». Dopo il parere del premier David Cameron (favorevole alla permanenza nell’Ue) si attendeva la presa di posizione del numero uno di Londra in un clima già prima molto teso con in sondaggi che danno i favorevoli al Brexit in leggero vantaggio (52%) in vista del referendum sul tema in programma il 23 giugno. A questo punto, considerata l’influenza di Johnson su una parte dell’elettorato, le probabiltà del Brexit sono aumentate.

E i mercati finanziari non stanno a guardare. Questa mattina gli shortisti hanno colpito la sterlina, che sta vivendo una giornata difficile, all’insegna delle vendite. La divisa britannica sta accusando un calo dell'1,5% a 1,14186 dollari, il livello più basso da tre settimane. Stessa dinamica nei confronti dell'euro, che guadagna l'1,2% nei confronti della sterlina a quota 0,7828. Dall'inizio dell'anno la sterlina ha perso il 3%, il maggior calo tra le principali valute registrato quest'anno.

«Ogni chiusura al di sotto di 1,42 dollari o sopra 0,7850 sterline nei con fronti dell'euro aprirebbe la strada a ulteriori debolezze della sterlina», ha avvertito Kit Juckes della Societé Générale, secondo quanto riportato dal Financial Times. «In generale - ha aggiunto l'analista - penso che probabilmente vedremo ulteriori indebolimenti della sterlina prima del voto con il dibattito che si accenderà e con l'incertezza che indebolirà la fiducia. Non posso immaginare che i sondaggi di opinione possano muoversi con decisione in alcuna delle due direzioni per fare emergere più chiarezza prima del 23 giugno» quando si terrà il referendum sull'uscita del Regno Unito dalla Ue.

A questo punto quale scenario si apre per la sterlina e per la politica monetaria della Bank of England? Bisogna fare una distinzione tra uscita dall’Ue e uscita dall’euro. Sono due cose profondamente diverse. Se un giorno uno dei 19 Paesi che condividono l’euro come moneta dovesse rompere questo accordo di cessione della sovranità monetaria alla Bce e tornare alla propria valuta accadrebbe immediatamente un allineamento del cambio reale: in parole povere la valuta del Paese uscente subirebbe una svalutazione pari alla differenza di inflazione che c’è stata con il Paese più forte dell’area (la Germania) nel periodo di condivisione della moneta. Ad esempio: se la Grecia uscisse dall’euro (Grexit) la “nuova dracma” si svaluterebbe di circa il 25%, perché negli anni in cui ha condiviso con la Germania l’euro, la Grecia ha però generato un’inflazione superiore del 25%. Quindi i mercati andrebbero automaticamente ad allineare il nuovo cambio al differenziale del tasso di inflazione.

Diverso sarebbe il caso di Brexit. La Gran Bretagna ha una sua valuta, una sua sovranità monetaria, eccetera. Quindi una rottura degli accordi politici e commerciali con l’Unione europea andrebbe a creare un po’ di turbolenza politica e finanziaria. E quindi spingerebbe, perlomeno all’inizio, la sterlina a svalutarsi nei confronti delle principali divise. Ovviamente il movimento sarebbe in parte anticipato dai mercati - e quello di oggi è un assaggio - che amano muoversi in anticipo per non essere colti alla sprovvista dagli eventi.

«Il Brexit rappresenta a nostro avviso uno dei maggiori rischi politici del 2016, sia dal punto di vista macro che per le sue implicazioni politiche - spiega Marco Aboav, macro portfolio manager di MoneyFarm -. La sterlina sta già subendo forti pressioni al ribasso, perdendo il 4,56% da inizio anno contro le valute G10. Riteniamo che con l'avvicinarsi del referendum la situazione si farà molto più incerta e stiamo già osservano interessanti spike di volatilità implicita, che risulta maggiore sulle scadenze intermedie che su orizzonti temporali più lunghi, creando una situazione anomala. Anche i tassi d'interesse sulla sterlina verranno sottoposti a notevole stress, con un generale aumento dell'avversione al rischio per gli asset britannici».

Una svalutazione della sterlina potrebbe portare però a un aumento (non di pari misura ma certamente inferiore) dell’inflazione in Gran Bretagna. A quel punto la Bank of England potrebbe interrompere il ciclo monetario espansivo - avviato con il quantitative easing del 2009 e con un tasso di riferimento oggi fermo allo 0,5% - iniziando ad alzare i tassi, visto che già la svalutazione della sterlina sarebbe espansiva di per sé, generando un vantaggio nelle esportazioni. Se la Bank of England alzasse il costo del denaro potrebbe spingere anche la Fed ad accelerare i tempi della stretta monetaria, al momento molto lunghi a causa dell’alto debito in dollari accumulato dai Paesi emergenti negli ultimi anni di tassi Usa a 0 e del rischio che quindi in quell’area scoppi la bolla dei corporate bond.

Un rialzo dei tassi in Inghilterra e negli Usa isolerebbe ancor di più la Bce e il suo ritardato quantitative easing (partito solo nel 2015). A quel punto per la Bce sarebbe più complicato mantenere i tassi bassi visto che molti capitali potrebbero spostarsi verso i più alti rendimenti del Gilt britannico e dei Treasury Usa.

Insomma, come spesso accade, in finanza c’è sempre il rischio dell’ “effetto farfalla”. Un battito d’ali in un Paese può scatenare reazioni a catena in tutto il mondo. Ecco perché il Brexit potrebbe cambiare le carte sul tavolo non solo in Gran Bretagna e dintorni.

twitter.com/vitolops

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