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L’ipotesi Brexit divide in due la Gran Bretagna

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A quattro mesi dal referendum

L’ipotesi Brexit divide in due la Gran Bretagna

LONDRA - L'avvicinarsi del referendum spacca la Gran Bretagna e le divisioni non rispettano i tradizionali schieramenti di partito, di ideologia, di ceto e di classe. Queste sono le posizioni attuali sul tema Brexit tra gli elettori, in politica, tra le imprese e nel settore finanziario, ma i prossimi quattro mesi di campagna in vista del voto saranno dominati dall'incertezza.

L'opinione pubblica sembra divisa a metà: i sondaggi alternano tra il dare una lieve maggioranza a un fronte e all'altro. Secondo l'ultima media tra sei diversi sondaggi di opinione, il 54% è a favore di restare e il 46% vuole invece uscire. L'unica costante è l'alta percentuale di indecisi: su di loro si concentreranno gli sforzi dei due schieramenti nelle prossime settimane. Secondo un nuovo sondaggio, il 44% degli elettori è pronto a seguire le indicazioni del premier David Cameron mentre un terzo è influenzato dalla decisione di Boris Johnson, il carismatico sindaco di Londra, di schierarsi a favore di Brexit.

Tra i partiti politici i Tories sono i più divisi: 23 ministri su 29 si sono schierati con il premier David Cameron, ma nomi di rilievo come Michael Gove, ministro della Giustizia e Iain Duncan Smith, ministro del Lavoro e delle Pensioni, faranno campagna a favore di Brexit assieme a Johnson. Hanno già il sostegno di oltre cento deputati conservatori, lasciati liberi da Cameron di seguire la loro coscienza su questo tema che da trent'anni divide il partito.
Anche il leader laburista Jeremy Corbyn ha lasciato liberi i suoi deputati di schierarsi secondo le loro convinzioni. Per ora solo nove deputati hanno dichiarato di volere uscire dalla Ue, mentre la posizione ufficiale del Labour è a favore di restare nell'Unione.
Più semplici le posizioni degli altri schieramenti politici: il partito liberaldemocratico, fino all'anno scorso partner di Governo dei Tories, è compatto nel suo filo-europeismo, così come i Verdi, il partito gallese Plaid Cymru e lo Scottish National Party. Sul fronte opposto Ukip, che ha un solo deputato a Westminster ma punta sulla popolarità del suo leader Nigel Farage per convincere gli inglesi a uscire dalla Ue.

Il mondo imprenditoriale è in massima parte favorevole a restare nella Ue per non perdere l'accesso al mercato unico, anche se chiede meno burocrazia e più riforme. La Cbi, la Confindustria britannica, che rappresenta 190mila imprese, si è schierata a fianco di Cameron sostenendo che «restare nella Ue è meglio per la crescita, per i posti di lavoro e per la prosperità» della Gran Bretagna.
Diversi capi di grandi imprese in settori differenti, come Andrew Witty di GlaxoSmithKline, Vittorio Colao di Vodafone e Richard Branson del gruppo Virgin hanno già espresso pubblicamente la loro convinzione che l'ipotesi Brexit sia troppo rischiosa. Oggi verrà pubblicata una lettera firmata dai leader di 50 delle maggiori società quotate che si schierano a favore di restare nella Ue. Tesco, Sainsbury e Morrisons invece, tre grandi catene di supermercati, non hanno firmato per non alienarsi le simpatie dei clienti.
Business for Britain, un gruppo schierato a favore di Brexit, sostiene che le piccole e medie imprese britanniche sono su posizioni molto più euroscettiche delle multinazionali e non temono un futuro fuori dalla Ue.

Il mondo finanziario è diviso tra chi teme che Brexit danneggerebbe lo status di Londra come capitale finanziaria d'Europa e chi invece è convinto che sarebbe un vantaggio per la City non sottostare più alle regole imposte da Bruxelles. CityUK, l'associazione che rappresenta il settore finanziario, sostiene che «Brexit potrebbe danneggiare la City e gli investimenti dall'estero e porterebbe a un lungo periodo di incertezza prima di sapere le conseguenze pratiche dell'uscita».
Le grandi banche americane hanno dichiarato senza mezzi termini la loro convinzione che la Gran Bretagna debba restare nella Ue. Goldman Sachs è stata la prima a donare 500mila sterline a Britain Stronger in Europe, la campagna ufficiale pro-Ue, e JPMorgan, Morgan Stanley e Bank of America intendono fare altrettanto. Il fronte pro-Brexit invece sta ricevendo sostanziosi finanziamenti da alcuni hedge fund, che si ritengono penalizzati dalla regolamentazione del settore da parte di Bruxelles.

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