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La fine di Schengen può costare ai Paesi europei fino a 1.400 miliardi…

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I rischi della chiusura delle frontiere

La fine di Schengen può costare ai Paesi europei fino a 1.400 miliardi di euro in 10 anni

Si fa presto a dire no a Schengen. Eppure la fine del Trattato non significa solo più controlli ai confini, inconvenienti per i viaggiatori che dovranno tirare fuori i passaporti anche tra un paese Ue e l'altro, file alle dogane. Abolire Schengen sarebbe un bel danno anche economico per l'Europa, e non solo. Se finora ci si è focalizzati sulle conseguenze per la libertà di circolazione dei cittadini europei, gli economisti pongono l'accento sugli effetti economici: da uno studio condotto da Prognos AG per conto del think tank tedesco Bertelsmann Stiftung sugli effetti della fine di Schengen si stimano danni economici per i prossimi dieci anni che vanno dallo scenario più ottimistico che prevede la perdita di 470 miliardi di euro nel Pil europeo all'ipotesi più negativa di circa 1.4 trilioni di perdite.

Di fatti anche con una crescita dell' 1% dei prezzi dei beni importati, i danni economici non sarebbero pochi in tutta Europa. Ma anche la Cina e gli Stati Uniti ne risentirebbero: nell'ipotesi peggiore potrebbero avere perdite cumulative di 280 miliardi, nel caso più favorevole si tratterebbe invece rispettivamente di un calo del Pil di 95 e 91 miliardi. Tra il 2016 e il 2025, se si considera lo scenario più negativo, ossia una crescita del 3% dei prezzi dei beni importati, l'Italia potrebbe perdere circa 150 miliardi del Pil, la Germania 235 miliardi e la Francia 244. Prendendo in esame, invece, il verificarsi di una condizione meno pessimistica, il nostro paese perderebbe comunque quasi 50 miliardi di euro, la Germania 77 miliardi e la Francia 80.5.

«Se tornassero le barriere interne all'Europa, ciò comporterebbe una pressione ancora maggiore sulla crescita che è già debole, in definitiva sarebbero le persone a pagare » afferma Aart De Geus, presidente del Consiglio di amministrazione di Bertelsmann Stiftung.
Se ci si sofferma a pensare alle tempistiche che sarebbero necessariamente più lunghe per il controllo dei passaporti ai confini europei, si riesce a comprendere i dati dello studio. Tempi di attesa più lunghi che si tradurrebbero in costi del lavoro più elevati per le imprese: costi più alti di trasporto e di deposito. Anche le spedizioni rapide non potrebbero essere più garantite. Entrambi questi fattori contribuirebbero necessariamente alla maggiorazione dei prezzi con il conseguente calo della domanda dei consumatori, diminuzione della competitività per le aziende sui mercati internazionali, difficoltà per le esportazioni. Alla fine una domanda inferiore di beni di consumo produrrebbe un calo anche negli investimenti. Quando poi le opportunità di vendita diminuiscono, le imprese reagiscono tagliando la produzione e questo avrebbe come conseguenza una minore crescita economica in Europa, ma anche in Cina e negli Stati Uniti.

Ulteriori costi economici che inciderebbero sulla crescita, potrebbero verificarsi per i pendolari tra un paese e l'altro dell'Ue. Ad esempio per i lavoratori che vivono in Germania e lavorano in Olanda ci sarebbero tempi di viaggio molto più lunghi «Anche se probabilmente nel breve termine nessuno lascerebbe il proprio lavoro all'estero, i controlli al confine rendono più complicato lavorare in un altro paese. - afferma al Sole 24 Ore Thiess Petersen consulente senior di Bertelsmann Stiftung- Sul medio termine questo potrebbe ridurre la mobilità del lavoro transfrontaliero».

Soprattutto il turismo risentirebbe della chiusura di Schengen con grandi ricadute sui viaggi in giornata o su le pause e viaggi brevi. Questo in particolare dovrebbe interessare le zone di confine in termini di perdite di guadagni e di occupazione.
Le imprese europee hanno molti fornitori da altri paesi Ue e questa integrazione in una catena globale riduce i costi di produzione e aumenta la competitività. La crescita dei prezzi dei beni e delle forniture da un altro paese, a causa del reinserimento delle barriere doganali, potrebbe far venire meno tutto questo e avere un effetto a catena sulla competitività delle aziende in Europa.

Tutti i paesi Ue con l' abolizione di Schengen potrebbero subire conseguenze economiche, nessuno escluso. «Paesi come la Germania che hanno un'economia forte e un livello di occupazione alto potrebbero far fronte alla crescita dei prezzi, mentre stati con economie più deboli come la Francia, la Spagna e l'Italia registrerebbero una riduzione più sostanziosa della crescita economica» spiega Thiess Petersen.
Anche l'Inghilterra, pur non essendo parte di Schengen, avrebbe degli effetti negativi: l'economia inglese è molto integrata nelle catene di produzione europee e quindi soffrirebbe per l'aumento dei costi sui prodotti di importazione in Europa. La Gran Bretagna, inoltre dipende dalle esportazioni e queste subirebbero effetti negativi con la crescita dei prezzi d'importazione all'interno dell'Europa.

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