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Paura Brexit, sterlina ai minimi dal 2009

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L’INTESA LONDRA-UE

Paura Brexit, sterlina ai minimi dal 2009

Londra - L’effetto Boris Johnson si misura già: crollo della sterlina, che scivola ai minimi degli ultimi sette anni contro il dollaro, ma in calo anche sull’euro e sulle sedici maggiori divise del mondo. Prove di Brexit, con le agenzie di rating che minacciano downgrade, mentre gli indici dei cambi si muovono al tono preoccupato del premier David Cameron, esplicito nel rintuzzare ai Comuni l’attacco pubblico del suo compagno di partito e sindaco uscente di Londra. «La scelta – ha ribadito il premier - è fra una Gran Bretagna più forte all’interno di un’Unione europea riformata e un salto nel vuoto...Io non correrò più per la rielezione, non ho altri punti in agenda se non quanto è meglio per il mio Paese, è questa, semplicemente, la mia responsabilità di primo ministro».
L’avvertimento del capo del governo ha seguito i warning dei mercati che per tutta la giornata di ieri hanno mandato messaggi inequivocabili e in un’unica direzione: pollice verso a ogni ipotesi di Brexit. Il pound ha toccato con 1,4057 dollari i minimi dal 18 marzo 2009 (in piena crisi post Lehman e sull’onda di dati sull’occupazione senza uguali nel precedente decennio). Poi è marginalmente rimbalzato, ma a metà pomeriggio era a meno 1,9%, il doppio circa rispetto alla contrazione nei confronti dell'euro (meno 1%). Un andamento che smentisce i segnali di venerdì notte quando sull’onda dell’accordo siglato a Bruxelles fra i Ventotto la valuta britannica s’era apprezzata nella convinzione che Brexit fosse destinato a trasformarsi in un miraggio.

A ridare consistenze all’ipotesi di un divorzio fra Londra e Bruxelles è stato – lo ricordiamo - il pronunciamento del sindaco uscente di Londra, Boris Johnson, deciso a battersi per l’addio all’Ue. È personalità con forte carisma, seguito popolare e nonostante la scarsa esperienza di governo ha la capacità di mandare messaggi che toccano le corde più sensibili della popolazione. In un articolo sul Telegraph ha lasciato intendere che solo un «no» all’Europa consentirebbe di ottenere le concessioni richieste, in un immaginario nuovo negoziato. «Conosco molte coppie – gli ha risposto il capo del governo - che hanno avviato le pratiche di divorzio, ma non conosco nessuno che lo abbia fatto per potersi risposare con il partner che sta lasciando...La verità è che (in caso di Brexit ndr) entro due anni i nostri accordi commerciali con l’Ue cesserebbero di esistere, così come quelli con 53 altri paesi del mondo … Questo più che un rischio, lo ripeto, è un salto nel vuoto, capace di danneggiare i lavoratori del nostro Paese per molti anni a venire». E via con il lungo elenco di cose che non accadranno per la falsa percezione di recuperata sovranità che vende chi propone Brexit.

È questa la narrativa a cui i mercati hanno dimostrato di credere. Oggi una cinquantina di ceo e presidenti di aziende del Ftse 100, in una lettera al Financial Times, si pronunceranno a favore del deal siglato da David Cameron. Il listino di Borsa ieri è rimasto impermeabile agli scossoni dei mercati, ma gli analisti sono stati espliciti nel leggere le ragioni della dinamica del pound. «La presa di posizione a favore di Brexit di esponenti Tory – ha commentato Valentin Marinov di Credit Agricole – tocca i nervi degli investitori». E le prospettive sono sotto il segno di ulteriori cali. «La sterlina – ha commentato Alan Wilde di Baring – si muoverà con forte volatilità, fra range dettati dagli opinion polls dei prossimi quattro mesi». Moodys ha annunciato che punterà al “credit negative” per l’economia del Regno Unito in caso di Brexit, mentre per Fitch il «costo economico sul breve» sarà doppiato da un «significativo rischio a lungo termine».