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LIBIA

Rivelazione del Wall Street Journal: «Da Sigonella droni Usa contro l’Isis»

Droni armati americani diretti in Libia che partono dall’Italia. La notizia, che rischia di aprire un acceso dibattito politico, è stata diffusa ieri dal Wall Street Journal. Secondo quanto ha scritto il quotidiano americano, il governo italiano dallo scorso mese ha iniziato «con discrezione» a consentire il decollo dalla base Nato di Sigonella in Sicilia dei droni che colpiscono postazioni dell’ Isis in Libia e nel Nord Africa.
Si tratterebbe, tuttavia, di un permesso su cui pendono delle condizioni. Perché i droni armati possono essere usati «solo a scopo di difesa, per proteggere le operazioni delle forze speciali americane in Libia». Una limitazione che mette in luce le difficoltà che la Casa Bianca incontra nel cercare di convincere i suoi tradizionali alleati ad unirsi, seppur a diverso titolo, a operazioni militari mirate contro le postazioni dello Stato islamico in Libia. Confermando la notizia dell’accordo tra Washington e Roma, il ministero italiano della Difesa ha però sottolineato come l’attività non sia ancora iniziata e dovrà comunque essere sottoposta, di volta in volta e caso per caso, all’autorizzazione del governo (i droni Usa partiti dall’Italia dal 2011 sarebbero stati usati solo per azioni di sorveglianza e senza armi). Fonti della Difesa hanno inoltre specificato che si tratta di un accordo coerente e complessivo che riguarda la protezione e la sicurezza di personale impegnato nella lotta contro l’Isis in generale, e non legato specificatamente alla Libia.

La missione militare internazionale per stabilizzare il Paese, a cui Francia e Gran Bretagna sono disposti a contribuire insieme all’Italia, sarà possibile solo dopo la formazione di quell’atteso governo di unità nazionale che da mesi continua ad essere rinviato. Anche ieri è arrivata una fumata nera. I riottosi onorevoli del Parlamento libico in esilio di Tobruk, quello riconosciuto dalla Comunità internazionale, non sono riusciti a trovare un accordo sulla lista dei ministri. Occorrerà dunque attendere oggi - e l’esito non è scontato - per il voto di fiducia.
È stato proprio il parlamento di Tobruk a bocciare, lo scorso 19 gennaio, la corposa lista di 32 ministri presentata dal premier designato Fayezz al-Serraj. La nuova listaè molto più asciutta; tredici i ministri, più cinque “ministri di Stato”. Un totale, dunque, di 18 dicasteri, tra cui tre affidati a donne.
In teoria, per garantire la fiducia al Governo, sarebbero necessari 134 voti su un totale di 200. Ma già la scorsa settimana Ali al-Qatarani esponente del Consiglio di presidenza libico e leader dell’influente gruppo dei parlamentari dell’area di Brega aveva fatto sapere che i suoi 45 onorevoli non voteranno la fiducia. A loro si aggiunge un indeterminato numero di parlamentari vicini al generale Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito libico fedele al governo di Tobruk, ma a quanto pare estromesso dagli ultimi accordi raggiunti in Marocco. I suoi fedelissimi non accettano alcuni nomi del nuovo governo di unità perchè considerati troppo vicini ai Fratelli musulmani.

Il problema è proprio il dicastero della Difesa e la nomina del capo di stato maggiore delle forze armate.Il ministro della Difesa designato è Al-Mahdi al-Barghathi. Un ex comandante militare che fa parte del blocco Dignità di Tobruk, il quale, tuttavia, non nutre una profonda simpatia verso Haftar, l’uomo sostenuto, finanziariamente e politicamente, dall’Egitto. In passato agli ordini del generale Haftar, Barghati ha poi ricevuto un benvenuto dalle milizie filo-islamiche di Tripoli. Da gennaio la sua nomina è così al centro di forti divisioni tra le fazioni libiche rivali. Per diverse ragioni - perché accusato di esser stato un uomo del regime - la designazione di Mohamed al-Taher Siala agli Esteri ha invece contrariato diversi esponenti del governo di Tripoli . I quali lo accusano di esser stato viceministro degli Esteri e ministro della Cooperazione negli ultimi anni del regime. Non è dunque esclusa l’ennesima correzione della lista dei ministri. Ma bisogna farlo in fretta. Secondo fonti dell’intelligence Usa riportate dal New York Times, nelle ultime settimane l’Isis ha raddoppiato il numero di combattenti in Libia, reclutandone molti dai vicini Paesi africani e portando il loro numero da 3mila a 6.500. L’obiettivo sarebbe creare un Califfato come quello presente in Siria e Iraq.
Mai come ora il Governo di unità è urgente. Anche per cercare di riportare su volumi accettabili la produzione petrolifera. Che, secondo Mustafa Sanalla, il capo della compagnia petrolifera nazionale della Libia, galleggia intorno ai 360-370mila barili al giorno, meno di 1/4 rispetto ai livelli precedenti la rivoluzione.

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