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La superborsa e il principio di Wimbledon

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la fusione dei listini

La superborsa e il principio di Wimbledon

La possibile fusione tra le Borse di Londra e di Francoforte può aprire una riflessione sul carattere del capitalismo europeo e in particolare su quello italiano.

All'inizio della crisi globale gli europei guardavamo alla natura bancaria del sistema finanziario come a un fattore di stabilità rispetto agli eccessi del modello americano centrato sulla titolarizzazione dei prestiti o su altri strumenti, spesso mal regolati, di debito. Negli ultimi anni, la dipendenza dell'economia europea dalle banche sembra diventata invece un serio problema. Rispetto a quella americana, si ritiene che la finanza europea abbia mostrato minore elasticità nel superare lo shock del 2008; la delicatezza del ruolo delle banche nelle economie e nelle società europee ha indotto a nasconderne i problemi; la natura ancora prevalentemente nazionale dei sistemi bancari ha inoltre creato una spirale di contagio tra debiti bancari e debiti sovrani; così si sono bloccati i normali canali di condivisione dei rischi tra i risparmiatori europei, aggravando i dubbi sulla tenuta dell'euro.

Per questa ragione nel 2015 la Commissione europea ha varato un ambizioso progetto di Unione dei mercati dei capitali. L'obiettivo è quello di sviluppare strumenti non nazionali di finanziamento degli investimenti (caduti durante la crisi del 25%), di creare un'infrastruttura europea di mercato per la condivisione sia dei profitti sia dei rischi, di ridurre gli squilibri tra risparmio e investimenti e infine di offrire un migliore accesso al finanziamento per le nuove imprese.

Retrostante c'è un ottimismo panglossiano sul ruolo della finanza che non è facile dare per scontato fuori da Londra. Ma nel novembre dello scorso anno il Commissario europeo ai servizi finanziari, il britannico Jonathan Hill, ha pubblicato un interessante “piano d'azione” sull'unione dei mercati dei capitali che pochi giorni dopo è stato commentato enfaticamente dal capo della Borsa di Londra. A pochi mesi di distanza il London Stock Exchange ha avviato un promettente negoziato per fondersi con la Borsa tedesca. Va considerata anche in tale prospettiva la creazione di una grande Borsa europea.

I rapporti di forza nella proprietà della nuova società saranno poco importanti. La vera decisione sarà se la piazza finanziaria resterà Londra, dove d'altronde risiede il 77% dei manager finanziari ad alto reddito europei (6% a Francoforte). Anche consegnando la maggioranza ai tedeschi, Londra salverà il principio di Wimbledon: chiunque vinca i campi da tennis sono i nostri. Brexit o non Brexit. Per la Borsa tedesca si tratta invece di non cadere preda di una Borsa americana e di superare un blocco culturale che non ha mai permesso al mercato dei capitali tedesco di fungere da attivatore della crescita delle imprese. Potrebbe riuscirci ora avendo accesso al mercato ben più liquido di Londra.

Dal punto di vista della Unione dei mercati dei capitali Ue il giudizio però deve essere sospeso. In genere questo tipo di fusioni viene valutato in ragione della propria efficienza. Ci si chiede cioè se la nuova infrastruttura sarà meno costosa, grazie ai maggiori volumi e alle sinergie tra prodotti prima trattati su piattaforme differenti. Ed è probabile che lo sarà. Ma ci si chiede anche quale tipo di cultura finanziaria prevarrà, se cioè un'infrastruttura monopolista sarà più o meno trasparente, o più o meno incline a favorire alcuni operatori nazionali. Un importante rapporto, scritto anni fa da Alberto Giovannini, aveva individuato un numero notevole di “barriere” che mantenevano il mercato europeo frammentato ed eccessivamente complesso dal punto di vista normativo. La Deutsche Börse ha la reputazione di essere tra i più intricati e protetti, quella di Londra di non preoccuparsi troppo di tutelare i piccoli rispetto ai grandi. Una piattaforma europea offre l'occasione di correggere entrambi i problemi.

Tocca alla Commissione Ue rispondere in modo adeguato alla fusione delle due maggiori Borse europee. Il successo dipenderà dal servizio che il mercato presterà alla domanda di finanziamento delle imprese, delle famiglie e degli Stati abbattendo le barriere nazionali che segmentano il mercato finanziario europeo. Ma pensare che ciò possa avvenire attribuendo ai risparmiatori l'onere di valutare il rischio, come avviene nella nuova regolazione del sistema bancario, significa andare in cerca di grossi guai. Il commissario Hill, inglese e conservatore, deve accentrare e rafforzare la regolazione a difesa del risparmiatore. E' un'opportunità per dare un volto umano ai rapporti istintivamente barbarici della finanza.

La trasformazione in corso del capitalismo europeo non deve infine lasciare indifferenti gli italiani. Le piccole e medie imprese, che rappresentano la caratteristica del capitalismo italiano, sono destinate a rimanere legate al sistema bancario nazionale. Saranno invece quelle di dimensioni almeno medie a poter sfruttare l'accesso a nuovi fonti di finanziamento di mercato su basi europee. La trasformazione in titoli dei prestiti bancari è in grado di liberare spazi attualmente limitati nei bilanci delle banche. Non c'è paese dell'euro-area che ne beneficerebbe più dell'Italia. Così come di un processo di aggregazione tra imprese e di incentivo all'aumento dimensionale. Anche se le piccole e medie imprese garantiscono due terzi dei posti di lavoro esistenti in Europa, la maggior parte dei nuovi posti viene invece dalle imprese giovani, con contenuti tecnologici e ad alta velocità di sviluppo dimensionale. Queste imprese fanno ricorso al mercato dei capitali più intensamente delle altre. E' anche di queste nuove imprese che ha bisogno l'economia italiana.