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Quei segnali di discontinuità

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Quei segnali di discontinuità

La storia di amore e odio tra Borse europee e Cina ieri si è bruscamente interrotta. Rispetto al -6% di Shanghai, i listini europei hanno guadagnato in media il 2%.

C’è sempre da imparare qualcosa, giorno dopo giorno, dai mercati finanziari. La lezione di ieri è che la storia di amore e odio tra Borse europee e il mercato azionario cinese si è interrotta bruscamente. Di fronte al -6,4% archiviato dal listino di Shanghai (a nulla sono servite nuove iniezioni di liquidità della People’s Bank of China) le Borse europee hanno guadagnato in media il 2%, vivendo l’intera seduta con scambi brillanti. Dallo scorso agosto la correlazione tra le due aree è stata molto forte. Il forte ritracciamento dei listini europei (dall’estate Piazza Affari ha perso il 29%) è iniziato proprio in concomitanza della prima svalutazione a sorpresa dello yuan cinese, l’8 agosto, da parte della People’s Bank of China. Da allora si è formato sui mercati un limpido ed elementare circolo vizioso: gli investitori vendono le azioni cinesi nel momento in cui temono una nuova svalutazione dello yuan. Quando questo accade vendono anche l’Europa temendo ripercussioni sulle aziende europee del rallentamento della crescita cinese, reso manifesto dal gioco al ribasso sul cambio da parte della banca cinese. Ieri però non c’è stata nessuna manovra sul cambio, né tantomeno i mercati se la aspettano a breve: questo ce lo svela lo “spread cinese”, vale a dire la differenza tra lo yuan ufficiale (stabilito dalla PboC nell’ambito di una banda semi-rigida con il dollaro) e quello offshore, quotato a Hong Kong e libero di fluttuare in base alla legge della domanda e dell’offerta. La breve storia degli ultimi mesi ci ha insegnato che quando questo spread supera i 10 punti base i mercati si aspettano che da un momento all’altro la People’s Bank of China lo azzeri svalutando difatti lo yuan ufficiale e allineandolo a quello offshore, che si muove in anticipo. Ma ieri entrambi gli yuan quotavano 6,53 dollari. Nonostante questo la Borsa cinese è crollata con la stessa violenza delle sedute estive scendendo rovinosamente sotto i 3mila punti, una soglia tecnica che ha fatto scattare l’algoritmo delle vendite. Le Borse europee invece hanno preso una direzione diversa perché l’algoritmo che in questo momento le muove non contempla ai primi posti la variabile cinese. Il focus si è spostato sulle mosse che la Bce adotterà il 10 marzo. I mercati si aspettano molto: secondo Jp Morgan Draghi potrebbe annunciare un taglio del tasso sui depositi da -0,3% a -0,5% e un aumento degli acquisti mensili di titoli da 60 a 70 miliardi di euro al mese includendo fra questi anche asset più rischiosi, fra cui i corporate bond. Non è quindi da escludere che nelle prossime sedute le Borse europee continueranno a salire, con gli investitori che in questo modo presserebbero la Bce ad agire come sperano. Il rischio però è che si ripeta il copione di dicembre quando le azioni del Vecchio Continente salirono del 10% in due settimane in vista del summit della Bce. Per poi rimangiarsi tutto il guadagno in poche sedute dopo che Draghi deluse le aspettative potenziando meno del previsto la macchina da soldi del Qe. Fra due settimane scopriremo se il pressing dei mercati sarà servito o se tutto si ridimensionerà a un déja vu.

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