Mondo

Al voto l'Iran del dopo sanzioni: un referendum pro o contro Rohani

  • Abbonati
  • Accedi
elezioni della svolta

Al voto l'Iran del dopo sanzioni: un referendum pro o contro Rohani

Secondo i primi dati messi a disposizione dal ministero degli Interni di Teheran, sono oltre 33 milioni, ovvero il 60% su 55 milioni di elettori potenziali, coloro che che hanno votato ieri nelle elezioni per il nuovo Parlamento iraniano e la nuova Assemblea degli Esperti, organismo giuridico-religioso che nominerà la prossima Guida Suprema. Il conteggio non è comunque ancora terminato, mentre è iniziato anche lo spoglio nei primi seggi. In particolare, a Teheran ha votato ieri il 30% in più di elettori rispetto alle elezioni parlamentari del 2012.
L'ex presidente Rafsajani e l'attuale presidente Rohani, entrambi dello schieramento riformista-moderato, guidano la lista dei 16 eletti all'Assemblea degli Esperti nel collegio elettorale di Teheran, secondo dati definitivi annunciati dal ministero degli Interni e citati da Press Tv. I primi posti conquistati sulla base del voto sono tutti occupati da riformisti e moderati. L'Assemblea degli Esperti, 88 membri in carica per 8 anni, sarà chiamata a scegliere al suo interno il successore della Guida Suprema qualora Khamenei muoia o si dimetta.


TEHERAN - Nell'aria frizzante di Jamaran, sotto le cime innevate del Damovand, c'è la casa dell'Imam Khomeini, il fondatore della rivoluzione del 1979 e di una Repubblica islamica ieri al voto per una svolta cruciale della sua storia. Forse non capiremo bene chi sono i veri vincitori di queste elezioni per il Parlamento e l'Assemblea degli Esperti neppure dopo i risultati. Ma Hassan Rohani, il presidente, è stato esplicito: «Molti dei nostri candidati sono stati squalificati ma se entrate in un negozio per coprirvi dal freddo e non potete scegliere ciò che vi piace acquistate quello che trovate». In poche parole, come avrebbe detto Indro Montanelli con una metafora efficace, turatevi il naso e votate il meno peggio. Le code ai seggi nelle città e i dati sull'affluenza mascherano una certa disillusione.

Niente però è più labile delle previsioni sull'Iran. Carter nel 1978 brindava con lo Shah poco prima che fosse costretto all'esilio; nell'80 si pensava che Saddam avrebbe liquidato Khomeini in una guerra di poche settimane che invece durò otto anni; nel 1997 il riformista Mohammed Khatami fu acclamato come un nuovo Gorbaciov ma sfiorì dopo una breve stagione mentre si riteneva che il populista Ahmadinejad sarebbe diventato il padrone del Paese prima che nel 2013 venisse eletto Hassan Rohani che ha firmato, contro ogni previsione pessimista, lo storico accordo sul nucleare.
In gioco non ci sono solo le sorti dell'Iran ma del Medio Oriente in cui Teheran è una dei grandi protagonisti della pace e della guerra, dalla Siria all'Iraq, dal Golfo al Libano. Vota al seggio di Jamaran anche Javad Zarif, il popolare negoziatore con le potenze mondiali: «Noi siamo per un pieno sostegno alla tregua in Siria e mettere fine al bagno di sangue. Ma il futuro di Assad lo decideranno i siriani. Qui in Iran abbiamo sempre preferito scegliere il nostro destino andando alle urne piuttosto che usare le pallottole».

A Jamaran si presenta l'ex presidente e attuale capo dell'Assemblea per il Discernimento Hashemi Rafsanjani: fu lui a suggerire all'Imam questa abitazione sobria e riservata. Nel piccolo museo è conservato come un totem il microfono con il quale Khomeini diffondeva gli appelli contro i nemici della rivoluzione: tra i suoi primi ordini, quando tornò dall'esilio, ci fu quello di far sparire un manifesto dove veniva ritratto con un benevolo sorriso, sostituito da un altro che lo raffigurava con le sopracciglia aggrottate e le labbra serrate in un atteggiamento di tempestosa determinazione. Chissà quale espressione avrebbe riservato alla bruciante squalifica di suo nipote Hassan Khomeini, un riformista che si era candidato per l'Assemblea degli Esperti, una sorta di conclave di 88 ayatollah che dovranno scegliere un giorno il successore dell'attuale Guida Suprema Alì Khamenei.

Sullo sfondo di questa immagine simbolica dell'Imam si affaccia Rafsanjani, detto lo “squalo”, 80 anni, che ancora galleggia da par suo nelle acque agitate della politica iraniana con frecciate acuminate ai radicali: «La squalifica dei riformisti è stata una vera e propria ingiustizia ma queste elezioni determineranno ugualmente il futuro dell'Iran».
Lo “squalo” affonda al cuore della questione. Il voto è una sorta di referendum sul governo Rohani e l'apertura al mondo dell'Iran. In apparenza le elezioni non muteranno nulla dentro al sistema, in realtà sta per cominciare una battaglia, neppure troppo sotterranea, per cambiare il volto del Paese tra due tendenze in feroce competizione. Una che vorrebbe mettere sotto sorveglianza o contenere il potere religioso degli ayatollah e quello militare dei Pasdaran sfruttando anche l'apertura con l'estero; l'altra che vuole imboccare una strada alla “cinese”: liberalizzazione della vita economica e privata ma con uno stretto controllo sulla politica, la sfera pubblica e un freno deciso a ogni influenza culturale esterna. La speranza dei riformisti e dei moderati è quella di scalzare la maggioranza fondamentalista che ha controllato finora i 290 seggi del Parlamento ma il 90% dei loro candidati sono stati eliminati dal Consiglio dei Guardiani. A Teheran su mille in corsa per 30 seggi soltanto 50 appartengono ai riformisti.

Ma come si vota all'iraniana? Seguiamo Nafiseh al seggio dell'Hosseynieh Ershad nel cuore di Teheran: deve indicare i suoi trenta candidati su una scheda compilata davanti a tutti, gomito a gomito, in una sorta di kermesse dove molti elettori chiedono gli uni agli altri come orientarsi. Ma quando mette sul tavolo il telefonino per passare la lista di riformisti a un'elettrice, lo scrutatore inflessibile l'allontana. La riservatezza qui è a geometria variabile.
Sotto le volte a mosaico della Hosseynieh Ershad vota anche l'ex ministro degli Esteri Ibrahim Yazdi, un pezzo di storia della rivoluzione. Era ministro quando fu presa d'assalto dagli studenti l'ambasciata Usa nel novembre '79: «L'Imam Khomeini - racconta - all'inizio disse: «Prendeteli a calci e mandateli a casa», ma quando si accorse che poteva sfruttare l'evento a suo vantaggio li appoggiò: sequestrarono 400 ostaggi e fu l'inizio dell'isolamento dell'Iran». «Ma - aggiunge Yazdi - ora sento che qualcosa sta per cambiare: mi auguro che queste elezioni rafforzino Rohani e l'apertura verso l'esterno». Forse non ha torto: un duro come il generale Qassem Soleymani, popolare capo delle forze speciali al-Qods, quelle che hanno tenuto in piedi Assad e il governo sciita di Baghdad, ha annunciato il suo appoggio ad Alì Larijani, portavoce del Parlamento passato dagli ultraconservatori ai moderati: anche i Pasdaran fiutano il vento nuovo.

© Riproduzione riservata