londra
Al termine di una settimana che ha visto la sterlina scendere ai minimi degli ultimi otto anni contro il dollaro, il governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney ha messo in guardia i suoi colleghi e i ministri delle finanze riuniti al G-20 di Shanghai dalle conseguenze di una guerra valutaria.
La caduta del pound non è prodotto di una svolta nella politica monetaria britannica, ma è figlia, lo ricordiamo, dei timori innescati dal rischio Brexit, ovvero della possibile uscita del Regno Unito dall’Unione al centro del referendum del 23 giugno. Timori forti abbastanza da convincere gli investitori a operazioni di hedging sui cambi, piuttosto che a far scattare una “fuga” di capitali dal Paese di cui non c’è sentore esplicito. Ma l’incertezza politica sul destino del Regno incrocia la realtà britannica fatta di un deficit delle partite correnti da record che condanna Londra ad affidarsi a quella che il governatore Carney nei giorni scorsi ha definito «la gentilezza degli stranieri».
E a quella gentilezza ha fatto appello anche il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne che si sta battendo – in verità senza trovare troppe resistenze – per far infilare nel testo finale del documento del G-20 diffuso oggi, un passaggio esplicito sui rischi globali che provocherebbe lo strappo di Londra. I cinesi ospiti del summit sono stati prontissimi a rispondere, manifestando la preoccupazione per l’impatto del Brexit sia in incontri bilaterali con esponenti britannici sia con le parole di Hong Lei, portavoce del ministero degli esteri di Pechino che ha precisato di aver «preso nota» di quanto espresso da George Osborne.
Gli uffici studi delle banche e i ricercatori universitari fanno a gara ormai nel produrre papers sulle conseguenze interne e globali di un’Unione senza più Londra. I primi numeri reali confermano gli studi. Gli operatori si ricoprono sulla sterlina, come abbiamo visto, mentre le imprese già tagliano gli investimenti se è vero che c’è stata una contrazione del 2% nell’ultimo trimestre del 2015. Scenario già previsto, in qualche maniera, da Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario internazionale, chiara denunciare l’impatto negativo sull’economia che ha l’attesa stessa del referendum. «L’incertezza è negativa in quanto tale – ha detto nei giorni scorsi madam Lagarde – perché è una condizione che costringe gli operatori economici a rinviare investimenti, assunzioni, decisioni».
L’addio britannico all’Unione europea potrebbe dare un colpo ulteriore al quadro di generale instabilità che accompagna l’economia mondiale dall’inizio del 2016. Il governatore britannico – è anche alla guida del Financial stability board - non ha toccato il tema Brexit nel suo intervento a Shangaii nonostante l’esecutivo guidato da David Cameron si attenda un suo esplicito pronunciamento. Non sarà facile, ma Mark Carney troverà, crediamo, le parole più equilibrate per far sentire la voce della BoE. Quelle che ha pronunciato al G20 hanno scandagliato il contesto globale e la emergente “guerra valutaria”. Per il capo della Bank of England gli stati non possono credere di esportare i loro problemi con svalutazioni competitive. «Non garantiscono – ha detto in sostanza – un beneficio vero». E quindi i tassi negativi – Londra mantiene il quantitative easing ma ha tassi inchiodati allo 0,5% - rischiano di essere «un gioco a somma zero». Secondo Mark Carney «è essenziale che le misure di stimolo siano disegnate con l’obbiettivo di rafforzare la domanda interna....ci sono limiti sulla capacità dei tassi negativi di centrare questo obbiettivo».
Eppure per il governatore britannico gli strumenti monetari non mancano. «È un mito – ha detto - che i banchieri centrali non abbiano altre capacità di intervento», ma per rendere efficace l’azione monetaria è urgente che i leader del G-20 mettano a punto politiche economiche coordinate. L’alternativa è una crisi generalizzata. «L’economia globale – ha precisato il banchiere di origine canadese – rischia di ritrovarsi intrappolata in un contesto di bassa crescita, bassa inflazione, bassi tassi di interesse».
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