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La fragile tregua siriana da oggi alla prova dei fatti

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Damasco

La fragile tregua siriana da oggi alla prova dei fatti

È una tregua difficile, contraddittoria, fragile. L'accordo firmato martedì tra Russia e Stati Uniti, per far cessare le ostilità in Siria, parte in salita. L'inviato Onu per la Siria, Steffan de Mistura, annuncia che i colloqui di pace sulla Siria riprenderanno il prossimo 7 marzo «se la tregua tiene». Certo, il regime siriano ha risposto positivamente all'appello, così come molte fazioni dei ribelli (quasi 100). Dalla mezzanotte (le 23 in Italia) le armi dovrebbero dunque tacere. Ma sono troppe le eccezioni, ancora troppe le fazioni escluse, e troppe le riserve che potenze regionali del calibro della Turchia oppongono.

Che lo Stato islamico fosse estromesso, era scontato. Che lo fosse anche l'organizzazione Jabat al-Nusra, rivale dell'Isis ma di matrice qaedista, era più che prevedibile. Anche se questo movimento feroce resta uno dei più potenti e organizzati tra l'opposizione al regime siriano. Alleati del fronte Nusra, dalla tregua sembra che si siano tirate fuori anche le potenti milizie di Harar al-Shams. Nessuno mette in dubbio che si tratti di un'organizzazione salafita radicale. Damasco, Teheran e gli Hezbollah libanesi - ovvero l'asse sciita che combatte in Siria – da tempo la definiscono un'organizzazione terroristica al pari di Jabat al-Nusra. Anche la Russia è orientata a estrometterla. Ma Harhar è forte e presente con le sue cellule in tutta la Siria. Può contare su 10-20 mila miliziani, resta dunque una delle milizie più influenti. Se poi si pensa che Jaish al-Islam, la formazione di milizie islamiche sostenute da alcune monarchie del Golfo, im primis l'Arabia Saudita, (circa 9mila miliziani), e che controlla vaste aree delle campagne intorno a Damasco, ha forti legami con Ahrar al-Sham e con altre formazioni di ribelli, il rischio che, attaccando una milizia “terrorista”, sia interpretato da una milizia alleata come una rottura della tregua è reale. Si può dire altrettanto nell'ipotesi che il regime voglia approfittare del momento favorevole attaccando ribelli che hanno accettato la tregua ma con legami – e accade spesso .- con fazioni che non l'anno accettata. E che la Russia faccia altrettanto con i suoi bombardamenti, In Siria si forgiano alleanze - e si disfano - con molta facilità. Non è peraltro raro che fazioni rivali in una certa area del Paese siano alleate in operazioni congiunte in un'altra area.

In questo quadro estremamente complesso, si intuisce quanto gli sforzi per arrivare a una tregua effettiva, e permettere che un Paese stremato da cinque anni di guerra, in cui sono morte almeno 250mila persone, torni a respirare, rischiano di essere vanificati.
Il fatto che oltre 100 milizie abbiano accettato il cessate il fuoco è incoraggiante. Ma tra le fila dei ribelli, quelli estromessi dalla tregua – definiti terroristi – sono molti e contano ancora molto. Ed è indubbio che siano i meglio armati e organizzati.
Nata come moderata e di ispirazioni laiche, la frammentata e riottosa opposizione siriana è stata prima contaminata, poi fagocitata dall'islam salafita, in gran parte radicale. Insomma, l'esercito libero siriano, la formazione su cui la Comunità ha sempre puntato come interlocutore affidabile e come il blocco contrapposto alle forze del presidente Bashar al-Assad, da tempo ha perduto la leadership dell'opposizione.

E che dire dei curdi siriani? Aiutate dai bombardamenti russi, che hanno spianato loro la strada, le milizie del Rojava hanno conquistato quasi tutto il lungo confine con la Turchia. Una fascia di territorio strategica, prima controllata da milizie estremiste comprese l'Isis e Jabat al-Nusra. I curdi del Rojava sono gli alleati su cui gli Stati Uniti puntano. Ma sono anche gli acerrimi nemici del Governo turco, che li vede come una minaccia peggiore della stessa Isis e non ha esitato a bombardarli nelle ultime settimane. L'ultima dichiarazione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, non promette nulla di buono: I curdi siriani dello Ypg «devono essere esclusi dal cessate il fuoco», «esattamente come lo è l'Isis». Quella del suo premier Ahmet Davutoglu , aggiunge benzina sul fuoco: «Quando si tratta della sicurezza turca non chiediamo alcuna autorizzazione, ma facciamo quello che è necessario». D'altronde per la Turchia i curdi sono il nemico numero uno, la maggiore minaccia alla sovranità nazionale, più dello stesso Stato islamico.
Mosca, ai ferri corti con Ankara, è convinta che i curdi accetteranno la tregua. Ma in questo teatro di guerra, dove si combattono da tempo più conflitti, nessuno si fida più di nessuno.

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