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«Regeni vittima di professionisti»

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l’omicidio del cairo

«Regeni vittima di professionisti»

Un ricercatore vittima di professionisti della tortura. Seviziato per sette-otto giorni, di continuo. La fine atroce di Giulio Regeni è stata questa: lo dice la relazione di 300 pagine di esame autoptico per gli inquirenti della procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone. Il messaggio implicito è chiaro: stop alle sciocchezze e alla disinformazione, dall’ipotesi iniziale - inverosimile - di un incidente a quella di un omicidio per droga, perfino la pista sessuale ipotizzata da qualcuno, più altre varie ed eventuali. Dal Cairo, insomma, devono giungere informazioni plausibili, rigorose, accertate. Se l’Egitto vorrà sul serio collaborare con le autorità giudiziarie italiane.

Al di là delle illazioni, dunque, il lavoro di Sco (Polizia di Stato) e Ros (Arma dei Carabinieri) con il pm Sergio Colaiocco approda ad alcune conclusioni consolidate. Dal computer del giovane ricercatore non emergono contatti con i servizi segreti italiani o di altro Stato. Il suo lavoro è destinato all’università di Cambridge. Studia con particolare approfondimento i movimenti di opposizione al regime di al-Sisi. Se la ferocia dei suoi aguzzini, quasi certamente egiziani, sia da imputare al legame universitario di Regeni con l’Inghilterra, e al contenuto delle sue ricerche, è ipotesi non infondata, come minimo. Ma non attiene, per ora, al lavoro della polizia giudiziaria italiana.

L’attività della procura di Roma, peraltro, potrebbe avvalersi delle informazioni a disposizioni dell’intelligence. Sul caso nei giorni scorsi il sottosegretario Marco Minniti, il direttore dell’Aise (agenzia informazioni e sicurezza esterna) Alberto Manenti e il numero uno del Dis (dipartimento informazioni e sicurezza), Giampiero Massolo, hanno parlato al Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Da quando il caso della sparizione di Regeni viene reso noto all’Italia, sono stati registrati circa 30 contatti con l’Egitto per chiedere di continuo informazioni. Del resto al Cairo sono andati il vicedirettore Aise Giovanni Caravelli, lo stesso Manenti, si è mosso il capocentro in loco del nostro servizio estero, oltre all’ambasciatore Maurizio Massari e il ministro Federica Guidi, poi rientrata subito in Italia dopo il ritrovamento del cadavere di Regeni.

In realtà al Copasir è emerso che l’Egitto alla nostra intelligence poco o nulla ha detto nella sostanza.La collaborazione delle forze di polizia egiziane con i nostri carabinieri e poliziotti, poi,è stata quantomeno esigua finora. Ma sviluppi interessanti all'inchiesta potrebbero giungere dall'analisi dell'account Google di Giulio. Gli investigatori stanno verificando se il giovane avesse sincronizzato il proprio telefono cellulare con il computer. Un particolare che, se confermato, potrebbe restituire la cronologia dei movimenti del ricercatore il 25 gennaio scorso, giorno in cui si sono perse le sue tracce (il corpo è stato ritrovato il 3 gennaio ai margini dell’autostrada alla periferia del Cairo). Un modo che consentirebbe alle autorità italiane di aggirare un ostacolo: l’impossibilità di visionare i documenti relativi ai tabulati telefonici acquisiti negli atti d'indagine delle autorità egiziane. Carteggi che il Cairo si tiene stretti e che, a distanza di quasi un mese, non ha inviato alla magistratura italiana.

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