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Guadagnava il 9,5% l’anno, reggendo i crolli di Borsa. Ma…

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come cambiano i mercati

Guadagnava il 9,5% l’anno, reggendo i crolli di Borsa. Ma oggi il «portafoglio permanente» è davvero in coma?

Conoscete il “permanent portfolio”? Quello che dal 1971 al 2011 ha reso il 9,5% annualizzato, reggendo egregiamente anche i colpi delle peggiori crisi di Borsa? L’invenzione del portafoglio di investimenti per tutte le stagioni, da non modificare mai, appartiene a un poliedrico personaggio di nome Harry Browne. Scrittore - noto per esempio il suo How I Found Freedom in an Unfree World, “Come ho trovato la libertà in un mondo non libero”, un classico del self-help uscito nel 1973 - fu anche politico - addirittura candidato alle presidenziali Usa nel 1996 e nel 2000 per il “Partito Libertario” - e non da ultimo analista finanziario.

Proprio in questa sua ultima veste nel settembre del 1999 Browne ha pubblicato Fail-Safe Investing: Lifelong Financial Security in 30 Minutes, un testo che delinea il “permanent portofolio”, l’asset allocation buona per tutte le stagioni. Una “torta” davvero semplice da cucinare, composta da quattro fette uguali: un 25% di azioni (per guadagnare durante le fasi di espansione), un 25% di oro (per proteggersi dall’inflazione), un 25% di liquidità (come paracadute durante le recessioni) e un ultimo 25% di titoli di Stato a lungo termine (buoni, secondo Browne, durante le fasi di deflazione). Un testo provocatorio, che lanciava il guanto di sfida a chi si occupa attivamente di asset allocation.

Come spiegava lo stesso Browne, «la sicurezza del portafoglio è assicurata dalle diverse qualità dei quattro investimenti, così ogni evento che impatta negativamente su un investimento può essere positivo per almeno uno degli altri». L’oro, per esempio, ha avuto alti e bassi. E’ stata l’unica asset class a sfoggiare ritorni positivi durante il delirio inflazionistico degli anni Settanta, ed è andato bene anche nel “decennio perduto” 2000-2010. Ma nel ventennale mercato Toro dell’ultimo scorcio del XX secolo (1980-1999) il metallo prezioso ha deluso, lasciando che i ritorni del “permanent portfolio” arrivassero dall’azionario.

L’idea del poliedrico autore newyorchese - scomparso nel 2006 - ha diviso la comunità finanziaria tra favorevoli e contrari. Il dato che comunque salta all’occhio sono i risultati. Più che onorevoli. Se consideriamo il periodo che va dal 1971 al 2011, il “permanent portfolio” ha guadagnato il 9,5% annualizzato, pari a quasi il 5% al netto dell’inflazione, stando ai calcoli di Craig Rowland, uno dei tanti seguaci di Browne. La deviazione standard, una misura della volatilità, è rimasta sotto l’8%, e questo spiega perché in quarant’anni la formula magica di Browne abbia incassato solo quattro anni di ritorni reali negativi.

Ora però si moltiplicano i dubbi sulla capacità della formula di Browne di reggere l’era della stagnazione secolare. Michael Forster su “Seeking Alpha” ha scritto un articolo dal titolo tranchant (Il permanent portfolio è morto) evidenziando come dal 2012 la formula di Browne abbia sottoperformato le azioni Usa. La colpa sarebbe dell’oro: da una parte ha ottenuto la maggior parte dei guadagni del “permanent portfolio” dal 2007 (reggendo egregiamente alla botta del 2008, quando il “permanent” fece -0,7% contro il -37% dell'azionario), ma dal 2012 ne ha rallentato le performance complessive. Più in generale, accusa l’articolo, l’idea di Browne «ha lavorato egregiamente nell’era del boom di credito e consumi, ma non funziona in quella della stagnazione secolare. E anche se non fossimo in stagnazione secolare, la sottoperformance del “permanent portfolio” negli ultimi tre anni indica che non è più “permanent”».

Certo, comparare il “permanent portfolio” all’azionario durante una delle più sensazionali fasi Toro degli ultimi anni è fuorviante. Però è vero che la formula di Browne potrebbe essere la prossima vittima della nuova era della finanza, quella guidata dai quantitative easing delle Banche centrali, che hanno reso sempre più artefatto il volto dei mercati («mai viste Borse così manipolate», non si stancano di ripetere i veterani di Wall Street) e contribuito all’instabilità delle tradizionali correlazioni. I prossimi anni ci diranno con più precisione se l’attivismo delle Banche centrali ha ucciso l’idea di Browne di un portafoglio per tutte le stagioni.

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