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Donald Trump avanza, Repubblicani sotto shock

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CORSA ALLA CASA BIANCA

Donald Trump avanza, Repubblicani sotto shock

NEW YORK - Donald Trump avanza nonostante tutto. Soprattutto nonostante gran parte dei vertici repubblicani, che tremano al pensiero di una sua candidatura a novembre, capace di trascinare nel baratro di una sconfitta di proporzioni storiche il partito, affossandone le speranze presidenziali e parlamentari. All’indomani del Super Martedì delle primarie, la presa popolare - e populista - dell’outsider per eccellenza non può più essere ridimensionata: ha vinto sette Stati su undici. Se non ha scritto la parola fine sulla corsa alla nomination repubblicana, ai rivali ha lasciato solo premi di consolazione.

Ted Cruz ha difeso il suo Texas, aggiungendo Alaska e Oklahoma. Marco Rubio ha ottenuto la prima minuscola vittoria in Minnesota. Uno scenario che serve al partito una rischiosissima mano di poker e due settimane - cioè fino al prossimo appuntamento con primarie davvero decisive - per giocarla: aspettare che il preferito Rubio emerga, allinearsi con l’altrettanto odiato Cruz, intervenire con un rifiuto collettivo e pubblico di Trump come candidato, oppure accettarlo e scendere a patti con lui.

Gli striminziti successi di Cruz e Rubio complicano ancor più la partita. Nessuno dei due ha oggi motivi per tirarsi indietro e facilitare l’unione delle forze anti-Trump. Non Cruz, che ha quattro vittorie all’attivo, nonostante la stridente ideologia ultra-religiosa ne faccia un portabandiera men che ideale. Non Rubio che resta il delfino dell’establishment e può sperare in un successo nella sua Florida, Stato barometro nelle corse per la Casa Bianca. Stenta però a decollare e contro Trump ha perso in Virginia, 35% a 32%.

Le divisioni fanno così di Trump più che mai l’uomo da battere il 15 marzo, quando si esprimeranno Florida, Illinois, Ohio, North Carolina e Missouri. Uno scontro reso ancora più drammatico dalle regole del partito: da metà marzo le primarie repubblicane prevedono di assegnare tutti i delegati al vincitore, mentre finora si utilizzava il sistema proporzionale. Con gli Stati industriali del Midwest, poi, in gioco potrebbe rientrare anche John Kasich, governatore dell’Ohio che ora ha solo 25 delegati, frazionando ulteriormente il voto anti-Trump.

Nel Super Martedì, oltre a strappare il 46% dei delegati in palio contro il 33% di Cruz e il 16% di Rubio, Trump è stato l’unico repubblicano a saper allargare la sua coalizione, sotto il profilo geografico e sociale, dando credibilità alla promessa di portare nuovi elettori nell’alveo del partito. Ha vinto dal profondo Sud al New England. E se in passato i suoi elettori erano parsi concentrati tra bianchi disagiati e delusi, i sondaggi post-voto hanno mostrato che ha attirato a sé fasce dai redditi più elevati e con diversi gradi di istruzione. In Virginia il 60% dei votanti aveva una laurea.

Grazie agli ultimi successi, Trump è seduto su una cassaforte di 316 delegati contro i 226 di Cruz e i 106 di Rubio. E se la nomination si guadagna con 1.237 delegati, risalire la china è diventato più arduo. Trump può oggi contare anche su un’erosione dell’opposizione delle élites: oltre ai governatori Chris Christie del New Jersey e David LePage del Maine, ha ottenuto il sostegno del senatore Jeff Sessions dell’Alabama. Un numero crescente di esponenti conservatori ha indicato che lavorerà con Trump presidente, contrastando chi ha minacciato di disertare il Grand Old Party, di sostenere un candidato indipendente o di orchestrare golpe tra i delegati alla Convention.

L’ostacolo maggiore potrebbe così essere quella stessa virulenta anti-politica che oggi la forza di Trump. Le polemiche sulle sue prese di posizione irrealistiche, estremiste e controverse rischiano di aumentare nel tempo, di frantumare quel movimento populista che al momento le ignora e di impedire la classica manovra elettorale americana quando dalle primarie si passa alle elezioni generali, che prescrive una svolta verso posizioni più moderate: Trump ha tentennato persino nel prendere le distanze dall’appoggio datogli dal leader del Ku Klux Klan, David Duke. Chissà se sarà il rispetto di questa legge non scritta delle urne a tradire Trump.

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