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Libia, una nuova Somalia alle porte di casa

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Libia, una nuova Somalia alle porte di casa

Un uomo dal tetto di un edificio osserva la città di Benghazi devastata dai combattimenti (AFP Photo)
Un uomo dal tetto di un edificio osserva la città di Benghazi devastata dai combattimenti (AFP Photo)

È vicina alle nostre coste, ne siamo sempre stati gli interlocutori privilegiati, sotto tutti i punti di vista; quello commerciale, quello politico, quello culturale. Pensavamo di conoscerla bene, la Libia, in tutte le sue dinamiche, e soprattutto i libici, così amichevoli con gli italiani. Ci svegliamo oggi, increduli, con un'amara certezza; dell'ex regno del colonnello Muammar Gheddafi oramai sappiamo poco o nulla. In attesa di conoscere cosa sia veramente accaduto ai due dei quattro tecnici italiani della Bonatti rapiti lo scorso luglio e tragicamente uccisi nei dintorni di Sabratha, e come sia avvenuta la liberazione degli altri due, in attesa di capire chi fossero veramente i sequestratori , dobbiamo prendere atto di una realtà; il paese è allo sbando, vittima dell'anarchia, sommerso dalle armi, fagocitato da interessi diversi in cui alcune potenze regionali fanno la loro parte.

Pochi numeri offrono un'idea sconcertante del pantano libico. Duecentomila miliziani non sono davvero pochi; e le oltre 240 milizie sono una forza a cui si fa fatica mettere ordine solo con il pensiero. A tutto si aggiungano le 140 tribù, con interesse ed obiettivi diversi, due governi rivali (uno islamico a Tripoli, vicino ai Fratelli musulmani e uno in “esilio” a Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale) che si contendono il potere nel Paese e si fanno anch'essi la guerra.

Per alcuni aspetti la Libia di oggi ricorda la Somalia di ieri. Quali sono le alleanze, gli attori in gioco, gli interessi e gli obiettivi delle diverse fazioni? Quali le zone sicure e quelle off-limits. Almeno in alcune aree della Tripolitania e della Cireniaca sappiamo che, pur tra mille difficoltà, agiscano due governi rivali, in guerra tra di loro e ognuno in guerra con altre milizie tra cui quelle dello Stato islamico.

Ma della regione desertica meridionale del Fezzan, la terra di nessuno, le informazioni sono contraddittorie. Qui comanderebbero una serie di tribù che, a seconda della loro convenienza, creano e disfano alleanze con altre potenti milizie e con gli stessi Governi, gruppi armati dediti alla protezione dei giacimenti delle major internazionali, naturalmente dietro lauti compensi, da tempo dediti al lucroso traffico di clandestini, su cui impongono pesanti balzelli.

La verità è che ogni frammento del territorio libico ha una storia a sé. E se alcune milizie sono alleate in una zona, in un'altra si guardano in cagnesco, quando non si fanno la guerra. Gli stessi libici sono ormai disorientati. Fanno fatica anche loro a comprendere il loro intricato puzzle.

Allora arriviamo a Sabratha. In questa cittadina della costa libica nordoccidentale, fino a poco tempo fa conosciuta per ospitare uno straordinario sito archeologico, sono attive una pluralità di milizie. Alcune frange si dedicano da temo a traffici insieme alla criminalità organizzata; la tratta di esseri umani, ma anche il commercio di armi, a volte perfino i rapimenti. In questo contesto caotico, dove le alleanze si creano e si disfano a volte anche nell'arco di una giornata, e comunque secondo gli interessi del momento, è ancora difficile comprendere chi ha rapito gli italiani, chi li ha tenuti in prigionia per sette mesi, e chi li ha usati come scudi umani, se questa pista verrà confermata.

Non è dunque ancora chiaro cosa sia successo realmente. Né lo è l'identità e il gruppo di appartenenza dei sequestratori che li avevano in mano. Non è stata esclusa ancora nessuna delle due versioni. Quella del blitz contro un covo di jihadisti nei dintorni di Sabratha effettuato dalle forze di sicurezze legate al Governo parallelo di Tripoli contro un supposto covo di jihadisti vicini all'Isis viene definita dalle autorità libiche come credibile. In questa versione , a sentire un testimone, i due italiani sarebbero stati usati come scudi umani. Ma circola anche una tragica indiscrezione – ancora da confermare - che potrebbero essere stati giustiziati dai rapitori con un colpo alla nuca prima di essere presi. È ancora poco chiara la seconda versione: i due tecnici sarebbero stati uccisi mentre stavano per essere trasferiti in un convoglio 10 km a sud di Sabratha intercettato delle forze libiche.

Quanto ai due tecnici liberati oggi, sarà forse più facile ottenere informazioni su chi li aveva sequestrati ed eventualmente a chi erano stati venduti, sempre che siano passati da un gruppo all'altro. Questa è la Libia di oggi, dove le forze speciali e i servizi di Intelligenze di alcuni paesi europei, inclusa a l'Italia, si trovano già da tempo. Tra i loro compiti ci sarà probabilmente quello di raccogliere informazioni, cercare di dare ordine alla caotica e incomprensibile costellazioni di gruppi armati, individuare quelli veramente ostili tra quelli più disponibili, e localizzare le strutture delle cellule legate allo Stato islamico. Fino ai suoi campi di addestramento.

Il Paese dove si forgiano alleanze per poi disfarle pochi giorni dopo ha creato un habitat congeniale per la leadership dello Stato islamico. Non è un caso che abbia deciso di puntare proprio sulla Libia come avanguardia per espandere il delirante sogno di un grande Califfato nel Nord Africa. Non è un caso che decine di suoi comandanti si siano spostate dal teatro di guerra del Siraq (ormai così viene definita l'area sunnita siro-irachena sotto il loro controllo) . E non è un caso se nel blitz di ieri le forze libiche avrebbero ucciso 4 jihadisti tunisini, due algerini e tre marocchini. Catturando un siriano. L'Isis è l'internazionale del terrore. Ma è un'organizzazione scaltra e pragmatica, dotata di una capacità di adattamento che pochi altri gruppi avevano. L'Isis, insomma, è un nemico insidioso.

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