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Intervento italiano in Libia: forze speciali e 007, ma non più di…

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LE IPOTESI OPERATIVE

Intervento italiano in Libia: forze speciali e 007, ma non più di 100 uomini

Probabile, ma poi non così a breve - ci vorrà qualche settimana - l’invio in Libia di unità delle forze speciali. Tutta invece da definire, e con molte criticità se non impedimenti, la spedizione di un contingente di militari italiani dai grandi numeri. Al Coi, comando operativo di vertice interforze guidato dal generale Marco Bertolini, si susseguono le ipotesi di pianificazione operativa. Le pressioni Usa sul governo italiano sono quotidiane. L’ambasciatore a Roma John Phillips dice che l’Italia «potrà fornire fino a circa 5mila militari».

Numeri, tuttavia, per ora irrealistici. Per motivi tecnici, giuridici e politici. Vanno distinte, intanto, le due ipotesi operative. Quella del ricorso alle forze speciali dipende da tre condizioni: la formazione del governo unitario, le richieste a Roma - già formulate in linea generale - l’ok internazionale. Così come discusso e definito all’ultimo Consiglio supremo di difesa presieduto dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, presenti tra gli altri il premier Matteo Renzi e il ministro della Difesa Roberta Pinotti. Nel frattempo il generale Bertolini sta valutando l’impiego delle unità. Avranno compiti di stabilizzazione dell’area libica: monitoraggio di obiettivi sensibili, addestramento delle unità locali, neutralizzazione della minaccia Isis d’intesa con il governo unitario.

Arriveranno dal 9° reggimento d’assalto Col Moschin, il Goi (gruppo operativo incursori), il 17° stormo incursori e il Gis (gruppo intervento speciale). Così rispettivamente i capi di stato maggiore dell’Esercito (Danilo Errico), della Marina (Giuseppe De Giorgi), dell’Aeronautica (Pasquale Preziosa) e il comandante generale dell’Arma (Tullio Del Sette) stanno definendo l’approntamento e la stima numerica dei boots on the ground, gli “stivali sul terreno” dei militari specializzati. D’intesa con il comandante del Coi e in linea con il capo di Stato maggiore della Difesa, Claudio Graziano. I numeri in ballo, però, sono limitati per definizione. Gran Bretagna e Francia hanno già in Libia le loro forze speciali, ammontano ad alcune decine di unità per nazione. Se l’Italia farà la sua parte saremo in questo ordine di grandezza. Con una novità assoluta: l’Aise, agenzia informazioni e sicurezza esterna guidata dal generale Alberto Manenti, potrà avvalersi di unità delle forze speciali. Accade per la prima volta, sul piano operativo, in applicazione di una norma (legge 1° dicembre 2015 n. 198 , articolo 7 bis). Ma non si tratta affatto, come pure si è detto, dell’Aise al comando della missione in Libia.

La realtà è che il presidente del Consiglio, attraverso il sottosegretario delegato Marco Minniti, può dare disposizioni di intelligence «di contrasto, in situazioni di crisi o di emergenza all’estero che coinvolgano aspetti di sicurezza nazionale o per la protezione dei cittadini italiani all’estero, con la coooperazione di forze speciali della Difesa». Nella linea gerarchica, da Renzi e Minniti l’indicazione poi passa al numero uno del Dis (dipartimento informazioni e sicurezza), Giampiero Massolo, e poi ad Alberto Manenti. Ma, come ha detto di recente al sito Formiche.net Mario Arpino, ex capo di Smd, quello delle unità speciali per l’Aise è o almeno deve essere un «supporto temporaneo e per singole operazioni». Colma, peraltro, una lacuna, visto che a differenza di altri Paesi i nostri servizi non hanno unità speciali operative. E in Libia, dove è probabile che la presenza dell’Aise si rafforzi - oggi sono «in teatro», come si dice in gergo, solo alcuni uomini di Forte Braschi - diventa ormai indispensabile per l’intelligence avere il sostegno di militari specializzati. C’è però un confine a questo genere di operazioni: «Se da attività di intelligence si dovesse passare a un’operazione militare, allora sì che sarebbe d’obbligo informare il Parlamento» ricorda Arpino.

In ogni caso, nella pianificazione Aise delle attività informative di questo genere il governo è obbligato a informare il Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Resta poi scontato che passa attraverso il vaglio di Camera e Senato un eventuale ok all’impiego di un dispositivo militare ampio. Va ricordato che nel Mediterraneo, davanti alle coste libiche, ci sono già 1.470 marinai con le operazioni Mare sicuro ed Eunavformed, quest’ultima al comando dell’ammiraglio Enrico Credendino. Certo, la suggestione dell’invio in Libia della brigata Folgore è forte. In ballo ci potrebbero essere oltre un migliaio di soldati. Ma i rischi di sicurezza nei territori libici e di reazione dell’Isis, anche in Italia, si moltiplicherebbero, come sa bene il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Se avremo il comando della coalizione internazionale in Libia, si aggiungerà a quello in Kosovo, con il generale Guglielo Miglietta, e della missione Unifil in Libano alla guida di Luciano Portolano. Fatto sta che il complesso delle missioni all’estero già costa 900 milioni l’anno. E oggi sembra molto difficile trovare altre ingenti risorse per un nuovo impegno militare di quel genere.