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Per confermare il rimbalzo ora i mercati guardano alla Bce. Giovedì…

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L’APPUNTAMENTO DELLA SETTIMANA

Per confermare il rimbalzo ora i mercati guardano alla Bce. Giovedì è il giorno di Draghi

Quella che ci siamo lasciati alle spalle è la terza settimana di fila in rialzo per i mercati azionari europei. Un bel bottino considerato che le prime sette settimane dell’anno sono state tra le peggiori di sempre (Piazza Affari era arrivata a perdere il 26%). E quella che si apre lunedì è la settimana in cui i mercati ascolteranno con attenzione ogni parola che giovedì 10 marzo Mario Draghi pronuncerà a Francoforte.

Prosegue il pressing degli investitori nei confronti della Banca centrale europea che giovedì dovrà decidere se aumentare l’attuale pacchetto di stimoli monetari (il cosiddetto quantitative easing). Le aspettative sono molte alte. Gli analisti sperano di trovare il governatore Mario Draghi particolarmente ispirato e, soprattutto, generoso in termini di droga monetaria. Ci si attende un aumento dell’importo destinato all’acquisto mensili di titoli da 60 miliardi ad almeno 70-80, un prolungamento della durata complessiva del programma (da marzo 2017 a settembre dello stesso anno) e un ulteriore taglio del tasso sui depositi - quello che pagano, se negativo, le banche private alla Bce per parcheggiarvi a fine giornata le riserve liquide in eccesso - da -0,3% a -0,4%. Se Draghi dovesse deludere queste forti aspettative il rischio di assistere a un ritracciamento delle quotazioni c’è. E questo, dopo quello che è successo il 17 dicembre scorso, quando la Bce aveva deluso l’umore degli investitori proprio a proposito del «Qe» con i mercati che in poche sedute si sono rimangiati il +10% incamerato a ridosso del summit a Francoforte, la Bce lo sa bene.

In ogni caso ormai mancano pochi giorni a questo potente market mover. Nel frattempo Piazza Affari dovrà continuare a fare i conti con il settore bancario, tornato sotto i riflettori dopo che giovedì sera la Bce ha comunicato a Banca Carige che dovrà preparare un nuovo piano industriale per rafforzare il patrimonio di vigilanza. Una notizia che maldigerita dai mercati che venerdì hanno venduto pesantemente le azioni della banca ligure che ha chiuso con un calo del 9,6% a 0,57 euro. Inoltre, bisogna aggiungere a questo le incertezze sulle ipotesi di aggregazione tra le popolari. Si spiega così la flessione di venerdì generalizzata nel comparto a Piazza Affari. Banco Popolare ha ceduto il 4,2% Bpm il 3,3%. Deboli anche Unicredit (-2,2%), Intesa (-2%), Mediobanca e Ubi che hanno concluso in ribasso dell’1,9%.

Nel complesso il listino milanese ha archiviato l’ultima settimana con un recupero del 4,5% pur cedendo ieri lo 0,38%. Dai minimi dell’11 febbraio il listino ha guadagnato il 16%. Il passivo da inizio anno si è ridimensionato a -15%. Le altre Borse invece sono risalite anche perché nel frattempo prosegue il recupero del petrolio. Il Wti (qualità texana scambiata a New York) è tornato sopra i 35 dollari al barile mentre il Brent (qualità del Mare del Nord) è tornato a 38 dollari. In pratica il greggio con il recupero delle ultime sedute ha chiuso il gap ribassista della prima parte dell’anno (con un minimo a 25 dollari al barile) riposizionandosi sui valori di inizio 2016.

C’è però una nota che non quadro nel ragionamento di fondo che sta portando tra gli investitori l’appetito al rischio. Come mai l’oro - bene rifugio per eccellenza - continua a salire? Anche ieri il metallo giallo è stato acquistato e si è portato oltre i 1.280 dollari l’oncia, un livello che non si vedeva da fine gennaio 2015. Con il +20% messo a segno da inizio anno l’oro continua ad essere la classe di investimento più profittevole in questo strambo 2016 sulle piazze finanziarie. Il tutto peraltro in un contesto che vede l’inflazione - variabile da cui l’oro offre storicamente una protezione - non dà segnali di forte ripartenza. È vero che negli Stati Uniti il livello dei prezzi a gennaio è salito su base annua dell’1,4% ma se ci spostiamo nell’Eurozona scopriamo che a febbraio è tornata la deflazione (-0,2%). Nel frattempo, va segnalato che Wall Street ha accolto positivamente il dato sui nuovi posti di lavoro creati a febbraio (242mila), nettamente maggiori delle previsioni (195mila). Il lato negativo della medaglia è che nel frattempo i salari sono diminuiti, il che potrebbe avere ripercussioni deflazionistiche nei mesi a seguire. Ecco perché il dollaro si è indebolito (con l’euro vicino a 1,1) anziché rafforzarsi come a rigor di logica.