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Renzi: «Nell’inferno libico serve buon senso»

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la crisi libica

Renzi: «Nell’inferno libico serve buon senso»

Davanti all’inferno libico serve «buon senso ed equilibrio» ricorda il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. «I media si affannano a immaginare scenari di guerra italiana in Libia che non corrispondono alla realtà», scrive Renzi nelle sue e-news. Poi sottolinea: un eventuale «impegno italiano» in Libia potrebbe avvenire solo «sulla base della richiesta di un governo legittimato».

Renzi così riporta al livello politico-istituzionale un dibattito aggrovigliatosi su tempi di una missione, modalità di intervento, numeri in campo, 007 e forze speciali. Una frenesia operativa che semplicemente non c’è: tutto piuttosto prematuro, in realtà. Anche se la Libia è apparsa molto più vicina dopo il tragico epilogo dei quattro operai della Bonatti, due uccisi e gli altri due liberi, forse già oggi di rientro in Italia. Così, per considerare concrete le pianificazioni militari in corso allo Stato maggiore Difesa, al comando del generale Sergio Graziano, occorre raggiungere la condizione certa e imprescindibile della costituzione di un governo unitario libico.

Certo, al ministero della Difesa, guidato da Roberta Pinotti, l’atmosfera è febbrile. Ma il ministro è in sintonia piena con il premier e la sua conclamata prudenza. Del resto, una volta insediatosi, sarà il nuovo esecutivo della Libia a chiedere un eventuale sostegno a Roma. A quel punto l’Italia esaminerà la richiesta. In campo ci sono anche inglesi e francesi, occorrerà valutare tra l’altro la ripartizione dei compiti. Già emersa, la prospettiva di un comando della coalizione internazionale all’Italia, richiesto da noi e sottolineato dagli Usa, è concreta. Sarà un generale a tre stelle dell’Esercito ma sui nomi non c’è nulla di certo. Renzi ha pure ribadito l’obbligo di varare un eventuale invio di truppe e mezzi dopo «tutti i passaggi parlamentari e istituzionali necessari». Eppure è necessario allargare ancora di più la visuale per rendersi conto della drammatica difficoltà di uno scenario come questo. Intanto va tenuto conto di quanto sia infernale il territorio libico. Presentata nei giorni scorsi, la relazione del Dis (dipartimento informazioni e sicurezza), guidato dall’ambasciatore Giampiero Massolo, ricorda che in loco c’è la presenza di almeno tre compagini terroristiche ad alta intensità di minaccia: al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi), Ansar al-Shariah, al Murabitun (Am) e Daesh (o Isis). Secondo il Dis occorre «evitare che il Paese diventi avamposto e safe haven di formazioni terroristiche, nonchè fulcro dell’instabilità regionale sulla spinta del serrato confronto interjihadista nel Sahel». Uno sviluppo, in realtà, già in atto, con una progressione incessante. Renzi motiva la sua cautela «a maggior ragione dopo ciò che è accaduto a Sabrata dove due nostri connazionali, in ostaggio di milizie irregolari ormai da mesi, hanno perso la vita in circostanze tragiche, ancora da chiarire completamente».

C’è molto di più, però. Nessuno si nasconde, infatti, che lo stesso impiego dei nostri militari in una missione di terra, per quanto di alta professionalità come le forze speciali, oggi ha un rischio enorme: muoversi in quei territori implica non solo uomini e mezzi adatti ma anche un patrimonio informativo di intelligence molto ampio. Molto difficile da ottenere. E al momento,anche per motivi di tutela contro il rischio di pericolo di vita, l’Aise (agenzia informazioni e sicurezza esterna) ha solo poche unità inviate in Libia. Osserva il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi: «Avevo detto che fare guerra a Gheddafi era un errore imperdonabile. In Libia c’è il caos. Ora tutti mi danno ragione, ma è troppo tardi». È probabile, però, che al di là delle schermaglie politiche attuali, sul tema si consolidi un’articolazione politica meno contrastata in Parlamento.

L’altro nodo cruciale, altrettanto drammatico, resta il rischio terrorismo. Sembra un paradosso insuperabile: l’intervento della coalizione internazione in Libia serve a contrastare la minaccia Isis, al-Qaeda e affiliati; ma proprio l’approdo delle forze occidentali nei territori in parte già occupati dal Califfato scatenerà, non c’è dubbio, la sua reazione sanguinosa. Il Dis parla senza mezzi termini di «proiezione extraterritoriale» di tipo terroristico, di probabili nuovi «attacchi eclatanti» come quello di Parigi. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, si confronta di continuo con il capo della Polizia, Alessandro Pansa, e il comandante generale dell’Arma, Tullio Del Sette. Se assumerà il comando della coalizione internazionale in Libia l’Italia non sarà solo «più esposta» agli attacchi dell’Isis come oggi dice il Dis. Ma, come minimo, sovraesposta.

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