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al confine tra grecia e macedonia

Emergenza migranti: a Idomeni l'onore dell'Europa viene difeso dai volontari delle Ong

Reuters
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IDOMENI - Cristo si è fermato a Idomeni avrebbe scritto Carlo Levi vedendo l'umanità disperata dei 13mila migranti bloccati al confine tra Grecia e l'ex Repubblica jugoslava di Macedonia in cerca di un passaggio tra i fili spinati appena spuntati in un confine che descrive più di ogni parola il fallimento di una politica comune dell'Europa sui profughi.

Aafke Zuidervliet, olandese del gruppo Adm, aiuta a fornire pasti ai 13mila rifugiati che si affollano al confine greco-macedone in attesa di avere il sospirato via libera verso un destino di speranza. Aafke è arrivata venerdì dall'isola greca di Chios, un hot spot, e mostra un ricevuta di un supermercato dove ha comprato con altri volontari cibo e acqua per 2.500 persone: chili di cipolle, pasta, arance, patate. E ora, nell'ora del pasto, aiuta a mantenere in ordine la fila infinita dei profughi che si accalcano per avere ristoro.

L'ambulanza dei volontari svedesi fa da studio medico volante lungo la strada per i numerosi ammalati del campo che si mettono in fila per una visita e un farmaco.
Kostantina, giovane greca di 35 anni, agronoma disoccupata, trasporta cibo e vestiti al campo profughi di Policastro a 20 km da Idomeni: “Porto maglie, sciarpe e cappelli di lana ai bambini fatti dalle associate di “Knitting solidarity”, “lavoro a maglia per solidarietà”, una associazione di donne tra cui molte nonne che aiutano i profughi con il lavoro a maglia di tante volontarie. “Qui di solito tra la città di Policastro e Idomeni in questa stagione c'è la neve e i migranti sarebbero morti nelle tende non riscaldate. Comunque i bambini che sono il 37% del totale dei profughi, si ammalano perché il freddo è intenso di notte”.

Maria, giornalista greca di Ert, la televisione pubblica greca appena riaperta dal governo Tsipras, ha deciso di venire a dare una mano da Salonicco come volontaria al campo di Idomeni in un giorno festivo. Un giornalista francese in mezzo al fango mentre da un camion vengono scaricati centinaia di pezzi di legna per riscaldarsi offerti e pagati da “Medici senza frontiere” in un formicolio di braccia e gambe, sbotta: “La giungla di Calais rispetto a Idomeni è un resort a cinque stelle”. Msf paga anche l'affitto del vasto terreno dove è sorto il campo profughi tollerato dalle autorità.

A tenere alto l'onore dell'Europa in questo campo che assomiglia a un girone dantesco ci sono l'organizzazione dell'Onu per i profughi e i rifugiati, l'Unhcr, la parrocchia locale della Chiesa ortodossa, i volontari e le Ong tra cui Medici senza frontiere, Save the Children e Praksis. E tante gente comune che solidarizza con i profughi donando una pagnotta o pacco di biscotti senza clamore.

Così come la crisi del debito sovrano nel 2010 ha messo a rischio l'euro, così la crisi dei migranti mette a rischio il Trattato di Schengen e la libera circolazione delle persone. Nessuno aveva previsto per Schengen fondi speciali, sanzioni per chi non rispetta le decisioni, e così ognuno ritorna ai confini nazionali in attesa che passi la bufera.

Ma mentre Bruxelles temporeggia, Sagunto rischia di cadere. In altre parole il villaggio di Idomeni è diventato il punto focale di una crisi troppo grande da gestire per un paese così piccolo e così provato da sei anni di recessione. Circa 30mila migranti sono rimasti bloccati in Grecia e di questi un terzo sono fermi proprio a Idomeni dalla unilaterale decisione macedone di bloccare dal 23 febbraio i confini. Skopjie ha il sostegno austriaco e dei paesi balcani che hanno inviato anche proprie guardie di frontiera oltre al favore dei Paesi del gruppo di Visegrad che rifiutano le quote dei migranti.

Atene ha chiesto alla Ue aiuti per 480 milioni di euro per far fronte alla crisi e oggi a Bruxelles si deciderà anche la sorte di queste migliaia di migranti, intrappolati dai veti incrociati europei, nella via dei Balcani.

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