L’ultimo, più fragoroso, campanello d’allarme è suonato in Assia, la regione di Francoforte. Alle elezioni comunali, Alternative für Deutschland, l’Alternativa per la Germania, il partito xenofobo ed euroscettico si è piazzato al terzo posto, con il 13,2% dei voti, dietro i democristiani della Cdu e i socialdemocratici della Spd, testa a testa al 28 per cento.
Persino nella cosmopolita Francoforte, AfD ha passato il 10 per cento. In alcuni comuni ha superato il 20; a Leun, dove non si sono presentati i neonazisti della Npd (la cui legittimità è al vaglio della Corte costituzionale), ha toccato il 17,3 per cento.
Troppo facile, come fa il presidente dell’Assia, Volker Bouffier, bollare quello di domenica scorsa come «un voto di protesta». Tre elezioni regionali domenica prossima possono dare a AfD un peso che nessun movimento di destra ha mai avuto in Germania dalla Seconda guerra mondiale. E proiettare un’ombra ingombrante sul Governo di grande coalizione e sul cancelliere Angela Merkel. Il voto finirà inevitabilmente per essere un referendum sulla politica del cancelliere sugli immigrati e AfD, secondo gli ultimi sondaggi, può aggiudicarsi almeno il 10% in tutti e tre i Länder, sfiorando un clamoroso 20% in Sassonia-Anhalt, nell’ex Germania dell’est.
Il fenomeno AfD è difficile da etichettare: all’Est fa pensare a giovani con le teste rasate, i giubbotti bomber, piercing e tatuaggi, una fauna che in parte si sovrappone ai neonazisti, ai cortei razzisti di Pegida, ma comprende anche qualche nostalgico della Repubblica democratica, i disoccupati, gli antisistema; all’Ovest è un movimento di uomini di mezza età, pantaloni di velluto, scarpe grosse, educazione medio-alta e un reddito da piccola borghesia, molti ex-democristiani per i quali il partito della signora Merkel ha imboccato un’intollerabile marcia a sinistra.
Il denominatore comune dei militanti e di quasi tutti gli elettori di AfD è la paura e l’avversione all’ondata dei rifugiati dal Medio oriente che sta invadendo la Germania. Più di un milione lo scorso anno, chissà quanti ancora quest’anno, con tutti i soldi del surplus di bilancio federale, faticosamente accumulato, che andranno a loro, e non ai tedeschi.
«Merkel raus», «Merkel volksverraeter» si legge sui cartelli alle manifestazioni di AfD. Il cancelliere è la traditrice del popolo, se ne deve andare. Il numero due del partito, Bjoern Hoecke, è stato più esplicito: «A Merkel va messa una camicia di forza». È lei, con la sua dissennata apertura delle frontiere, che ha causato questo stato di cose. È lei, in fondo, la ragione delle fortune di Alternative. Fondato nel 2013 come partito anti-euro dopo i salvataggi dei Paesi dell’Europa del Sud «con i nostri soldi», ha sfiorato l’ingresso al Bundestag nelle elezioni politiche di quell’anno, arrivando a un passo dalla soglia del 5 per cento. L’anno dopo è balzato al 7% alle europee, ma stava rapidamente implodendo quando la coincidenza quasi fortuita di due fatti gli ha dato una nuova vita: un cambio di leadership, dallo sbiadito economista di Amburgo, Bernd Lucke, alla combattiva e fotogenica Frauke Petry, una quarantenne d’assalto, nata a Dresda, che ha virato la linea sull’opposizione viscerale ai rifugiati. Ma è stata la decisione della signora Merkel, poco tempo dopo, a rinvigorire AfD. Il 54% dei tedeschi non crede che la Germania sarà in grado di affrontare l’ondata degli arrivi, né di integrarli. AfD cavalca quest’onda, fino a quando i fatti di Capodanno a Colonia (centinaia di donne aggredite da bande di immigrati) non offrono la spinta decisiva.
L’establishment politico ha finora risposto in maniera incoerente: il cancelliere Merkel spera in extremis in un risultato del vertice di Bruxelles di oggi per puntellare la sua “soluzione europea” e la collaborazione con la Turchia. Potrebbe essere troppo poco e troppo tardi per salvare il voto di domenica. I suoi alleati si sono mossi in ordine sparso. Il leader dei gemelli bavaresi della Csu, Horst Seehofer, vede le cose più con l’occhio del premier ungherese Victor Orban, il più duro contro la linea Merkel, che con quello del cancelliere; il ministro della Giustizia, Heiko Mass, della Spd, ha suggerito che di AfD si occupino i servizi segreti; i due candidati democristiani in Baden-Württemberg e Renania-Palatinato, gli altri due länder dove si vota domenica, Guido Wolf e l’astro nascente Julia Kloeckner, chiedono limiti agli arrivi dei profughi e controlli alle frontiere; il commissario europeo tedesco, Günther Ottinger, dice che se fosse il marito di Frauke Petry si sarebbe già sparato (intanto il marito vero, un pastore evangelico, separato dalla moglie, tiene a precisare di non condividerne le convinzioni).
Lei, il leader di AfD, dice che «lo Stato è impotente» e che, all’occorrenza, bisogna respingere i rifugiati ai confini anche sparandogli contro. E incassa i voti. Dei naziskin, e della tranquilla piccola borghesia tedesca.
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