
Tanto più dice cose incredibili nel paludato mondo del politicamente corretto americano, tanto diventa credibile come candidato repubblicano alla Casa Bianca. Donald Trump procede e convince delle sue chance anche chi finora gli è stato lontano o addirittura avversario. Fra gli altri candidati che si sono battuti poi ritirati e infine sono diventati suoi sostenitori ci sono il governatore del New Jersey Chris Christie e da stasera il neurochirurgo Ben Carson che annuncia la decisione in una conferenza stampa in Florida dove martedì si vota per le primarie. Le prime parole dell’ex sfidante ora alleato sono «Donald Trump è un uomo molto intelligente che tiene profondamente all'America».
Non così entusiasta è una comunità sinora abbastanza silenziosa che non segue i tempi e le convenienze della politica. Era scettica come il resto delle élite americane ma da dicembre ad ora le cose sono cambiate: adesso poco meno del 67% dei cfo, i direttori finanziari di un largo campione di aziende americane, è convinto che Trump manterrà il vantaggio sinora guadagnato negli stati in cui si è già votato e alla fine conquisterà la nomination fra i conservatori per la Casa Bianca. Lo rivela un’indagine di Cnbc Global CFO Council, condotta fra il 25 febbraio e l’8 marzo. È la prima volta che la maggioranza dei manager si convince della candidatura Trump e tanto è cambiato da quando stava per iniziare la stagione delle primarie. La comunità del business si è convinta della vittoria a dispetto dei tentativi delle prime file di fermare il candidato da non «lasciare davanti al pulsante di un reattore nucleare», così come veniva descritto Trump nell’incontro riservato del week end scorso in Georgia fra i top manager della Silicon Valley e l’establishment dei repubblicani organizzato dall'American Enterprise Institute - presenti il ceo di Apple Tim Cook, quelli di Google e Tesla, Larry Page e Elon Musk accanto al politologo conservatore Karl Rove, il capogruppo al Senato dei Repubblicani Mitch McConnell e altri parlamentari conservatori.
Si delineano così due reazioni davanti all’ascesa di Trump: gente di business e immagine come Jack Welch, Meg Whitman e Carly Fiorina si schierano contro, grandi investitori come Buffett consigliano di stare attenti al suo ego, George Soros addirittura investe soldi per far votare gli ispanici contro di lui. Alcuni grandi nomi lavorano per fermarlo, la comunità finanziaria ha preso atto della inarrestabile corsa del miliardario.
Lui intanto continua a macinare consenso e proclami e pensa di sfondare anche fra gli avversari: «Conquisterò Stati che sono impensabili, straordinari per il partito repubblicano. Con me vinceremo in molti Stati che non sarebbero nemmeno in gioco con gli altri candidati». Promette che ci saranno «i democratici per Trump», dice che molti suoi amici di Hollywood stanno tutti votando per lui, anche se non lo ammettono: «Sono liberal ma votano Trump». Niente sembra più incredibile, ora tutto quello che dice si pesa in un altro modo, anche dall’altra parte: scrive Politico che due giovani newyorkesi molto ricche e molto amanti degli stessi eventi mondani hanno deciso di non farsi più vedere insieme in pubblico: sono Ivanka Trump e Chelsea Clinton, figlie dei due più probabili vincitori della stagione delle nomination.
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