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Tsunami 5 anni dopo, tra forza e debolezze di un Paese

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Asia e Oceania

Tsunami 5 anni dopo, tra forza e debolezze di un Paese

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Una ricostruzione che per alcuni aspetti sembra appena cominciata e per altri appare troppo dispersiva e ciclopica, contemporanea a un decommissionamento del complesso nucleare di Fukushima Daiichi che resta in una fase iniziale. A cinque anni dallo tsunami, non e' chiaro se il Giappone abbia appreso appieno la lezione della tragedia dell'11 marzo 2011. In questi giorni a Roma l'ex premier Naoto Kan ha ricordato che dovette porsi il problema se ordinare l'evacuazione dell'intera area metropolitana di Tokyo.

E' un fatto, pero', che la crisi e' dimenticata. I giapponesi hanno punito il governo di allora e votato un esecutivo con un programma di riattivazione delle centrali eventualmente anche in aree densamente popolate. Se fino a 4 anni fa i turisti disertavano per paura il Sol Levante, ora arrivano in numeri da record, indifferenti alla circostanza che 8mila persone al giorno lavorano a Fukushima Daiichi, principalmente per contenere il problema dell'acqua radioattiva. Nessun altro Paese che avesse tanto sofferto per il nucleare (militare e civile), probabilmente, avrebbe fatto scelte simili, determinate da un mix di ragioni economiche, politiche e strategiche. Ora pero' si sta profilando una guerra tra governo e magistratura, dopo che un tribunale ha ordinato la sospensione dell'attivita' in una delle due centrali rimesse in funzione (nonostante il via libera da parte delle autorita' di regolamentazione in base a nuove regole che, va detto, rendono in teoria quelli giapponesi gli impianti piu' sicuri del mondo).

Intanto basta fare un giro per le aree colpite dallo tsunami per rendersi conto che l'intera costa orientale del Giappone settentrionale e' un immenso cantiere, fin troppo favorevole all'industria delle costruzioni. Il controverso piano per costruire 400 km di barriere antitsunami (la “Grande Muraglia Giapponese”) al costo minimo esorbitante di mille miliardi di yen, ad esempio, non appare rispettoso di una sana analisi del rapporto costi-benefici. Procedere in contemporanea a costruire alte barriere e ad alzare il terreno su cui costruire le case comporta oneri sproporzionati, tanto piu' in paesi spesso in via di spopolamento. “Democrazia” e diritti di proprieta', inoltre, hanno oggettivamente provocato gravi ritardi nelle opere piu' urgenti, tanto che ancora quasi 60mila persone vivono in prefabbricati provvisori in cui avrebbero dovuto stare per non piu' di due anni. Molte comunita' hanno perso troppo tempo per decidere dove e come ricostruire, mentre si e' scoperto che la situazione dei registri immobiliari non e' da Paese avanzato: individuare e rintracciare i singoli proprietari di specifici lotti da espropriare per la ricostruzione ha comportato tempi e sforzi spropositati. L'impennata dei costi dei materiali – legata anche al decollo dei lavori per le Olimpiadi di Tokyo – ha infine messo in difficolta' chi voleva ricostruirsi la casa da se'. Alla fine, viene spontanea una domanda: se con un processo di ricostruzione tanto oneroso da funzionare come un permanente stimolo fiscale, uno yen debole e il petrolio a picco, una politica monetaria ultraespansiva e un boom di turismo straniero, l'economia giapponese fatica a restare sopra la soglia della recessione, come sara' la performance del Paese se condizioni tanto favorevoli dovessero svanire? Il problema si porra' soprattutto a ricostruzione e Olimpiadi terminate. E forse anche prima.

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