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Il paradosso libico e la fine della guerra in Siria

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Medio Oriente

Il paradosso libico e la fine della guerra in Siria

Un gruppo di combattenti anti-Isis in un momento di relax nella periferia Sudest di Bengasi (Ap)
Un gruppo di combattenti anti-Isis in un momento di relax nella periferia Sudest di Bengasi (Ap)

Un nuovo governo libico che invece di unire divide, i negoziati sulla Siria che riprendono domani e la comunità internazionale, riunita oggi a Parigi e lunedì a Bruxelles, con un arsenale di armi al completo ma a corto di idee. Difficile che il nuovo governo libico, ammesso che riesca a insediarsi, possa richiedere un intervento internazionale: punterà a farsi togliere l'embargo sulle armi che avrà come risultato, inevitabile, di rendere alcune fazioni più forti delle altre.

Quanto alla Siria, il governo di Damasco, cinque anni dopo l'inizio della guerra civile a Dara, ribadisce ovviamente che non è per niente d'accordo a portare la testa di Assad sul tavolo delle trattative: il regime, come tutti i regimi, non è negoziabile e forse neppure riformabile. E mentre si discute di Siria e Libia, i sauditi con le monarchie del Golfo boicottano il Libano mettendo con la Lega Araba gli Hezbollah sciiti sulla lista dei gruppi terroristi.

Quando non riesci a risolvere un problema ne crei un altro, quando non riesci a vincere una guerra - in Siria e in Yemen - ne fomenti un'altra. Sembra essere questo i leit-motiv del fronte sunnita.

La guerra in Siria, nonostante la tregua, peraltro costantemente violata da Isis e Jabat al Nusra che non ne fanno parte, non finisce oggi: forse terminerà soltanto dopo la caduta di Raqqa e di Mosul (in Iraq), quando si potrà cominciare pensare a una divisione del Levante. Questi sono in sostanza gli accordi tra Washington e Mosca che vanno bene anche all'Iran ma non alle potenze sunnite. E i libici smetteranno di combattere non quando arriveranno altre armi ma quando finiranno i soldi del petrolio e della Banca centrale distribuiti ancora a tutte le fazioni. Guerrigliero “sine pecunia est imago mortis”.

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