
E ora ? I tre milioni di manifestanti che hanno sfilato nelle più importanti città del Brasile prefigurano uno scenario di grande incertezza.
A San Paolo la manifestazione contro l'ex presidente Lula e contro il governo dell'attuale leader Dilma Rousseff è stata oceanica. I dati oscillano tra i 500mila (secondo DataFolha) e i 1,4 milioni (secondo la Polizia federale). Numeri comunque straordinari.
Il giudice Sergio Moro - titolare dell'inchiesta Lava Jato (autolavaggio) sulle tangenti che Petrobras avrebbe incassato da alcune grandi imprese brasiliane e poi redistribuito ai partiti politici – raccoglie molti consensi. “Somos todos Sergio Moro”, siamo tutti Sergio Moro, intonavano i manifestanti. “Fuera Dilma”, “Fuera Lula”, gridavano altri. Anche se gli elementi dell'accusa mossa a Lula paiono piuttosto deboli, un appartamento intestato a costruttori implicati nello scandalo di tangenti, amici di amici dell'ex presidente. Insomma un immobile che sarebbe a disposizione della famiglia di Lula.
Sono due le analisi che seguono la giornata di proteste: la prima riguarda il carattere politico della rivolta dei brasiliani contro un sistema di appalti infiltrato dalla corruzione in molti gangli istituzionali. I cortei del 2015 e 2016 sono palesemente antigovernativi. Anti Pt. (Partito dei lavoratori). Mentre quelli del 2013 erano trasversali ed erano mossi da motivazioni economiche.
La seconda analisi riguarda il prosieguo delle indagini che potrebbero arrivare alla destituzione di Dilma Rousseff per “impeachment”.
L'operazione non è affatto semplice e potrebbe trovare scarsi appigli giuridici per poter essere formulata. Tuttavia il Pmdb (partito di governo alleato con il Pt di Lula e Rousseff) pare si stia sfilando. E quindi Dilma Rousseff periclita più per ragioni politiche che giuridiche.
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