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Direttiva mutui (su 18 rate) e bazooka Bce. Ora le banche hanno due…

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prestiti per le case

Direttiva mutui (su 18 rate) e bazooka Bce. Ora le banche hanno due buoni motivi per fare degli sconti

Le banche ora hanno almeno due buoni motivi per ridurre gli spread che applicano sui mutui, ovvero la componente del tasso di interesse decisa facoltativamente dagli istituti in base alle logiche commerciali. Ricordiamo infatti che il tasso di interesse del mutuo è composto da due voci: la prima è lo spread (deciso dalla banca), e la seconda è l’indice interbancario di riferimento (Eurirs per i mutui a tasso fisso ed Euribor per i tassi variabili) su cui la banca non ha voce in capitolo perché si tratta di tassi del mercato interbancario che sintetizzano quanto costa il denaro all’ingrosso (prestiti tra banche) a lungo termine (Eurirs) o a breve termine (Euribor) e cambiano ogni giorno, dal lunedì al venerdì.

Lo spread è una molla importante per stimolare o frenare le erogazioni. Ad esempio nel 2012-2013 - quando le erogazioni di mutui sono crollate - le banche hanno alzato lo spread in media oltre il 3% ergendo quindi un muro ai prestiti. Per molti istituti allora alzare lo spread è stato un modo elegante per defilarsi dal mercato, come a dire, «in questo momento preferiamo non erogare mutui». Oggi invece gli spread sono decisamente più contenuti (in media 1,5%) e questo spiega anche perché le erogazioni stanno crescendo (quasi 50 miliardi di controvalore erogato nel 2015, come ai bei tempi). Il buon momento è testimoniato anche dalla crescita della domanda: con un eloquente +32,4% a febbraio 2016 rispetto lo stesso mese del 2015 (dati Crif diffusi oggi).

Ma torniamo al tema centrale dell’articolo: quali sono i due buoni motivi per cui le banche ora potrebbero ridurre ulteriormente lo spread (e quindi attirare ancora più mutuatari)? Il primo nasce dalla “versione italiana” della “direttiva mutui”. La legge è in corso di discussione ma dovrà essere approvata in ogni caso entro il 21 marzo, termine ultimo previsto dalla direttiva europea. Prevede un cambio epocale dal punto di vista teorico: dopo 18 rate non pagate le banche potranno espropriare l’immobile e rivenderlo. Il prezzo di vendita sarà quello di mercato: per questo è previsto l’intervento anche di un perito nominato di comune accordo con il mutuatario. Se l’immobile viene venduto a un prezzo più alto del debito residuo, la banca verserà la differenza al mutuatario. Se viene venduto a un prezzo più basso, il debito risulta comunque estinto.

Oggi invece è previsto che quando un mutuatario non paga sette rate, un istituto può chiedere al giudice il rimborso del debito. La palla quindi passa nelle mani del giudice che dovrà valutare caso per caso. Il mutuatario quindi può contare magari sulla benevolenza del giudice e quindi riuscire - se si mette in regola - a non vedersi espropriare l’immobile. Ma accade comunque che nella maggior parte dei casi il mutuatario non riesce a rimettersi a posto e quindi il giudice alla fine mette la casa all’asta. Il problema è che i prezzi delle case all’asta sono fortemente scontati rispetto al valore di mercato. Se si arriva alla terza asta (perché le prime due sono andate deserte) il prezzo scende di circa il 50%. La normativa attuale prevede che se la banca non riesce a ricavare dalla vendita l’importo del credito residuo, la posizione debitoria del mutuatario insolvente resta aperta.

Analizzando quindi la riforma nel dettaglio, sui nuovi mutui le banche avranno la garanzia che nella peggiore delle ipotesi potranno vendere agevolmente dopo un anno e mezzo (18 rate) sul mercato l’immobile e quindi recuperare il credito. Oggi invece questa garanzia non c’è: in media gli immobili finiscono all’asta dopo 3-4 anni di agonia (il cui conteggio scatta dopo il mancato pagamento delle sette rate). Ciò vuol dire che, a livello sistemico, con la nuova norma il “merito creditizio” di partenza di qualsiasi mutuatario è più alto (perché le banche hanno la certezza che dopo 18 rate possono comunque provare a recuperare il credito). Questo potrebbe spingere gli istituti ad avere una manica più larga nelle erogazioni, e quindi ad applicare uno sconto sullo spread rispetto ai valori attuali.

Il secondo motivo che potrebbe orientare gli istituti a ridurre lo spread arriva dalla Banca centrale europea. Giovedì scorso l’istituto guidato da Mario Draghi ha implementato una serie di misure volte a stimolare i prestiti a famiglie e imprese. Tra queste ha lanciato delle aste di finanziamento alle banche di prestiti a 4 anni al tasso negativo dello 0,4% (a patto che utilizzeranno questa liquidità per finanziare famiglie e imprese). In pratica la Bce presta 100 alle banche e le banche dopo 4 anni ne devono restituire 99,6, se nel frattempo avranno prestato questi 100 all’economia reale. In parole povere, nell’attuale era dei tassi negativi accade che la Bce paga le banche affinché queste a loro volta prestino soldi.

Anche in questo caso quindi c’è un forte incentivo a prestare, addirittura con un “regalino” dello 0,4% dato dalla Bce. Non è quindi troppo fantasioso immaginare che gli istituti possano decidere di “girare” alla clientela una parte di questo “regalino”, applicando uno sconto sui nuovi mutui. Staremo a vedere.

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