
Dove sono quei 16 miliardi di dollari in entrate petrolifere che deve incassare il Governo? La risposta, probabilmente, sarà: volatilizzati, spariti nel nulla. Inghiottiti dalla corruzione. Come peraltro è accaduto in passato. Ma questa volta i tempi sono cambiati.
La Nigeria, primo Paese africano con 160 milioni di abitanti e prima economia del Continente, di questi fondi ha un disperato bisogno. Il crollo delle quotazioni petrolifere ha messo in inocchio i conti pubblici di un Paese che di petrolio vive. E per rendersene conto bastano due dati nell'ultimo rapporto del dipartimento americano dell'Energia: in Nigeria il 95% dell'export in valore arriva proprio dalle vendite di petrolio e gas, così come il 75% delle entrate del governo federale.
Ancora una volta sul banco degli imputati è la Nnpc, la Nigerian National Petroleum Corporation. Un pozzo senza fondo dove la pianta della corruzione ha sviluppato radici profonde. Il neo presidente nigeriano, Muhammadu Buharu, ne ha abbastanza. Ai suoi occhi la lotta alla corruzione, su cui ha incentrato la sua campagna elettorale, ha quasi la stessa importanza della guerra contro i terroristi di Boko Haram. Salito al potere lo scorso maggio Buharu si trova ora davanti a questo clamoroso ammanco. Può consolarsi. Non è il primo presidente a trovarsi in una situazione del genere. E non sarà l'ultimo.
Ora è in corso una commissione di inchiesta. Perché quei soldi devono tornare indietro. A tutti i costi. Le finanze del gigante africano navigano in cattive acque. Nonostante il budget federale sia stato ripetutamente tagliato, quest'anno si calcola un deficit di almeno 15 miliardi di dollari. L'inflazione è tornata a due cifre, e nell'ultimo trimestre del 2015 la crescita del Pil si è contratta a un +2,11% (nel 4 trimestre del 2014 aveva sfiorato il 6%). Troppo poco per rilanciare l'economia di un Paese così popoloso.
Come secondo copione , la Nnpc si è chiusa in un riserbato silenzio. Come quando l’allora Governatore della Banca centrale nigeriana, Lamido Sanusi, nel 2010, denunciò la sparizione di 20 miliardi di dollari di entrate petrolifere. La denuncia non portò a nulla se non alle sue forzate dimissioni. Anche l'inchiesta successiva, ordinata dall'ex presidente Jonathan Goodluck per accertare le responsabilità di un ammanco della Nnpc pari a 1,48 miliardi di dollari, denaro da pagare al Governo federale tra il 2012 e il 2013, sembra arrivata a un punto morto.
Già nel 2010 la regina del petrolio africano aveva rischiato la bancarotta. Il caso Nnpc, accusata di insolvenza, aveva provocato un terremoto politico. La Nnpc era stata accusata di essere insolvente poiché allora i suoi assets non coprivano i debiti, pari a 754 miliardi di naira (5 miliardi di dollari, ndr) al 31 dicembre 2008.
In un clima rovente era poi intervenuto il ministro delle Finanze, Segun Aganga, negando che ci fosse insolvenza. «Abbiamo diverse transazioni tra la Nnpc e il governo federale. Alcune in credito, altre in debito».
Una matassa ingarbugliata. Anche perché l'azionista quasi assoluto della Nnpc, che controlla quasi tutti gli asset petroliferi nigeriani, è proprio lo Stato. Ed è sempre lo Stato a rivendicare il debito della Nnpc.
Insomma la Nigeria, e soprattutto i nigeriani, non meritano una situazione del genere. La ricetta del presidente Buharu è di dividere la compagnia di Stato in sette società differenti. E continuare la guerra alla corruzione. Insomma riuscire laddove tutti gli altri suoi predecessori hanno fallito.
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