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Trump: prevedo rivolte se non sarò il candidato

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corsa alla casa bianca

Trump: prevedo rivolte se non sarò il candidato

MIAMI - I grandi favoriti hanno trionfato, ma la nomination per la Casa Bianca – e tantomeno la presidenza - non è ancora in tasca di nessuno. Soprattutto tra i repubblicani: Donald Trump ha stravinto in Florida e si è aggiudicato anche North Carolina, Illinois e, dopo una verifica nel conteggio, il Missouri. Ma ha perso l’Ohio, concedendolo al governatore locale John Kasich che, dopo l’uscita di scena Marco Rubio umiliato nella sua Florida, può così contendere a Ted Cruz il manto di sfidante anti-Trump. Un’ipotesi, davanti agli attuali numeri, è che i vertici del partito puntino a un duello in sede di Convention a luglio, che veda Trump, oggi forte di metà dei delegati necessari, in netto vantaggio ma con meno dei 1.237 necessari alla nomination e quindi con un “patto” Cruz-Kasich che potrebbe ancora emarginarlo. Collaboratori di Trump e Cruz hanno tuttavia escluso simili giochi, affermando piuttosto che intendono seppellire la campagna di Kasich sotto una pioggia di sconfitte nelle prossime primarie per arrivare a uno scontro a due. Trump si è spinto oltre, minacciando «rivolte» di piazza se la Convention non dovesse riconscergli la nomination. «Non credo si possa dire che non è automatica. Penso ci sarebbero rivolte. Io rappresento molti milioni di persone».

La front runner democratica Hillary Clinton può invece tirare maggiori sospiri di sollievo. Ha fatto l’en plein, imponendosi in tutti gli stati in palio e accumulando ormai due terzi dei delegati indispensabili a garantirsi la nomination. La sua vittoria è tuttavia rimasta afflitta da perplessità sulla sua popolarità in un’elezione generale. Giovani e lavoratori bianchi disagiati continuano a sfuggirle: Hillary ha vinto di stretta misura in stati del Midwest e industriali, quali Illinois e Missouri, significativi per un successo democratico alle urne di novembre. I suoi schiaccianti successi nelle primarie degli stati del Sud minacciano invece di rivelarsi vani fra sette mesi: a eccezione della Florida sono roccaforti repubblicane. Nel Missouri il rivale Bernie Sanders ha strappato più delegati anche nella sconfitta, grazie a una miglior distribuzione geografica dei voti: 32 contro 31.

Lo scontro si sposta adesso verso ovest e avrà in agenda una nuova battaglia: la nomina ieri da parte di Barack Obama del magistrato federale Merrick Garland, considerato un moderato, al seggio reso vacante alla Corte Suprema dalla scomparsa dell’ultra-conservatore Antonin Scalia. Quello di Obama è un vero guanto di sfida politico: i repubblicani hanno preannunciato guerra aperta a qualunque suo candidato in un anno elettorale, rifiutandosi anche solo di discuterne in aula. Gli equilibri futuri dell’Alta Corte, per le implicazioni su temi scottanti dall’aborto alla regolamentazione delle armi, finiranno così sotto i riflettori. Il primo appuntamento è il 22 marzo con primarie in Arizona e Utah per entrambi i partiti, oltre che in Idaho per i democratici e le isole Samoa per i repubblicani.

L’Arizona è il più significativo: al centro qui c’è già un altro tema caratterizzante dell’intero ciclo elettorale, l’immigrazione. Trump punta su un nuovo successo contro i sopravvissuti Kasich e Cruz: ha ricevuto l’appoggio del popolare ex governatore Jan Brewer, noto per una legislazione che ha criminalizzato gli immigrati trovati senza documenti e ha autorizzato le forze dell’ordine locali a controllare lo status dei fermati per violazioni del traffico. Con lui si è schierato inoltre il controverso sceriffo Joe Arpaio della contea di Maricopa, che si è distinto su scala nazionale per i duri atteggiamenti contro i clandestini compresa la creazione di una Tent City Jail, prigione-tendopoli con ottomila detenuti in attesa di giudizio dove la temperatura è “irachena”, come ammette lo stesso Arpajo, superando i 50 gradi d’estate.

Per i democratici l’Arizona è a sua volta terreno cruciale di confronto interno. La crescente presenza e ruolo della minoranza ispanica ne ha fatto uno stato che se un tempo era tradizionalmente conservatore oggi può invece essere nelle mire dei democratici. Clinton, nonostante il chiarissimo vantaggio nei delegati, potrebbe qui doversi battere ad armi pari con Sanders, che ha previsto di fare tappa in Arizona nei prossimi giorni. Sua moglie Jane ha già visitato - e criticato - la controversa Tent City Jail. Ma se Sanders spera di trovare un riscatto a ovest, Hillary ha già dimostrato di poter vincere nella comunità ispanica strappando i caucus del Nevada.

I voti di martedì, mentre si preparano le nuove schermaglie, sono invece ormai storia. Come il mesto addio di Rubio, una volta ritenuto il salvatore del partito repubblicano dalla violenta retorica di Trump. «Questo - ha detto con amarezza - non è l’anno dei messaggi positivi».

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