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Partita europea sponsor francese

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l’analisi

Partita europea sponsor francese

L’era Bolloré in Telecom inizia adesso con quella «discontinuità» che in realtà è frutto di un compromesso: mantenere il board fino alla scadenza naturale, ma cambiare subito guida operativa.

Non si può non notare l’intreccio con la partita Generali, alla cui guida si è appena insediato Philippe Donnet, manager assicurativo di provate capacità appoggiato da Mediobanca, ma sulla cui candidatura all’inizio non era stato trovato un assenso unanime. Non più tardi dello scorso autunno al suo predecessore, Mario Greco, proprio il presidente di Vivendi, che in proprio è il secondo importante azionista di Piazzetta Cuccia, aveva fatto arrivare la proposta di una candidatura alla guida della compagnia telefonica, lasciata cadere dall’ex ceo che ha preferito restare nel suo settore.

La discontinuità per Telecom - l’ultima della serie - non sarà comunque un passaggio banale. A partire dalle strutture aziendali, alle quali l’attuale ad ha appena messo mano riorganizzando le aree di business e rimescolando le responsabilità manageriali. È possibile che il nuovo entrante non pretenda - e giustamente - di scegliersi i propri collaboratori? Questa è una faccenda interna, si dirà. Ma sono da mettere in conto anche contraccolpi esterni. Per esempio, e non da ultimo, l’annoso dossier Metroweb. È ancora realistico ipotizzare di chiudere entro un mese, come vorrebbero azionariato e management di Metroweb, se l’interlocutore cambia?

A parole i francesi - e lo stesso Bolloré con il premier Matteo Renzi - non si sono mostrati pregiudizialmente contrari a una collaborazione. Inutile negarlo, però, l’operazione si presterebbe a far spazio nell’azionariato Telecom a Cdp che, o prima o poi, potrebbe scambiare la sua quota nella società della rete in fibra con un pacchetto di azioni dell’incumbent entro il quale la nuova rete sarebbe comunque destinata a confluire. Certo una quota “simbolica”, ma sufficiente ad assicurare almeno un presidio agli interessi del sistema Paese. Che, in caso contrario, rischierebbe di non averne per nulla se e quando - e prima o poi accadrà - le telco europee cominceranno a considerare di consorziarsi.

Anche se il disegno complessivo presenta ancora molte incognite, Vivendi, quando ha parlato, non si è nascosta dietro a un dito. All’assemblea dello scorso aprile Vincent Bolloré aveva dichiarato senza mezzi termini che la media company transalpina era prossima a diventare «azionista di riferimento» di Telecom Italia, stupendo i suoi stessi soci che non avrebbero mai immaginato di reinvestire nelle tlc quel tesoretto da 10 miliardi accumulato smantellando proprio la rete di partecipazioni di controllo in operatori telefonici. Anche che la strategia, ancora da declinare nel concreto, sia la convergenza contenuti-tlc è stato chiaro fin dall’inizio. Dopodichè alla recente audizione in Senato, il ceo Arnaud de Puyfontaine non ha avuto esitazioni nel prospettare la volontà di giocare un ruolo sul tavolo del prossimo consolidamento del settore che, i segnali ci sono tutti, comincerà a prendere la strada delle aggregazioni transnazionali.

Quando era ancora pubblica, Telecom era tra le prime tre compagnie telefoniche al mondo, forte per dimensioni, estensione geografica, competenze manageriali e tecnologia all’avanguardia. A vent’anni dalla privatizzazione, falliti tutti i tentativi di assicurare comunque il controllo in ani italiane (anzi i guai sono cominciati proprio lì), alla vigilia di quella che potrebbe essere una trasformazione epocale del settore in chiave continentale, Telecom si ritrova confinata in due soli mercati, impossibilitata a cogliere opportunità di sviluppo e persino incapace di premere fino in fondo l’acceleratore sugli investimenti per non sbandare sul debito, con la prospettiva di trovarsi un concorrente forte in casa sulla rete, proprio dove era in posizione di virtuale monopolio.

L’esigenza di rafforzare le fondamenta con un’iniezione di capitali freschi finora è sempre stata frustrata dalle priorità del suo azionariato che, di volta in volta, erano quelle di non diluire il controllo, di tenere a freno concorrenti su mercati d’oltremare o di cercare di uscire da soluzioni pasticciate senza rompersi troppo le ossa. Non sembra che a riguardo sia cambiato molto con l’avvento del nuovo socio francese, al quale - non è azzardato presumerlo - non basteranno certo i confini della Penisola per portare avanti la sua strategia di convergenza contenuti-tlc se l’obiettivo è quello di costruire il campione europeo. Anche Orange è determinata a giocarsi la partita da protagonista. Al di là delle dichiarazioni altalenanti, l’interesse per Telecom c’è tutto, perchè servirebbe a fare massa critica per poi poter negoziare “alla pari” con i tedeschi di Deutsche Telekom, con i quali - secondo voci di settore - qualche pourparler ci sarebbe già stato.

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