
Il culmine delle celebrazioni sarà la grande parata di Pasqua, quando 21 colpi di fucile e una corona di fiori deposta dal presidente Michael Daniel Higgins davanti al General Post Office di O'Connell Street, a Dublino, renderanno onore ai ribelli che cent'anni fa – era la Pasqua del 1916 - proclamarono l'indipendenza dell'Irlanda dalla Gran Bretagna.
Sarà il punto di arrivo di manifestazioni cominciate già all'inizio dell'anno, che hanno comunque cercato di limitare gli eccessi di patriottismo, per evitare il riaccendersi di tensioni soltanto sopite in un contesto dall'equilibrio instabile come quello anglo-irlandese.
Un cinquantenario troppo patriottico
Nulla di paragonabile a quanto accadde in occasione del cinquantenario, nel 1966, quando proprio il nazionalismo spinto delle celebrazioni contribuì a esasperare gli animi, soprattutto in Irlanda del Nord: quel pezzo di isola parte del Regno Unito che, di lì a poco, sarebbe entrata in un sanguinoso trentennio di violenze e contrapposizioni tra unionisti (protestanti, sostenitori di una permanenza nel Regno Unito) e repubblicani (fautori di un'unica repubblica d'Irlanda, indipendente dal dominio britannico). Secondo diversi analisti, proprio quell'anniversario potrebbe aver fatto precipitare l'Ulster nei cosiddetti “Troubles”, appunto i 30 anni caratterizzati da scontri tra le due comunità, violenze, attentati terrroristici dell'Ira, a cui poi pose argine l'accordo del Venerdì Santo del 1998.Un'altra coincidenza tra celebrazioni pasquali e momenti politici chiave della storia irlandese.
Il paradosso del centenario
Il paradosso delle celebrazioni di quest'anno è che, appena una decina di giorni dopo, il 6 aprile, tornerà a riunirsi il Parlamento irlandese uscito dalle elezioni del 26 febbraio, che ribadirà molto probabilmente l'impossibilità di formare un nuovo governo. Non è un bel modo per celebrare il centenario e – ironia della storia – alla base dell'attuale ingovernabilità c'è proprio una frattura tra i principali partiti consumatasi negli anni della guerra civile seguita a quel proclama di cento anni fa.
Un passo indietro si impone. Il proclama letto nel 1916 sulle scale dell’ufficio postale di Dublino non segnò davvero l'indipendenza dell'Irlanda. Si trattò più di un colpo di mano che di una vera rivoluzione, controverso nel giudizio contemporaneo perché attuato con il sostegno dei tedeschi, che negli stessi mesi erano nemici delle truppe britanniche (e irlandesi) durante il primo conflitto mondiale. Ebbe peraltro vita breve, visto che i ribelli resistettero appena sei giorni e furono poi giustiziati dai britannici. La “vera” guerra contro Londra ebbe inizio nel 1919, quando il movimento nazionalista Sinn Féin, creò un Parlamento e proclamò l'indipendenza, combattuta dai volontari irlandesi dell'Ira anche attraverso attentati e tattiche non convenzionali e dai britannici con il ricorso a violente squadre paramilitari. Il conflitto terminò nel 1921, con la firma del Trattato anglo-irlandese che stabiliva la divisione dell'isola: le sei contee del Nord restavano nel Regno Unito, al Sud (lo “Stato libero di Irlanda”) veniva garantita ampia autonomia anche se non ancora lo status di repubblica indipendente (che il Paese avrebbe conquistato poi solo nel 1949).
Le radici storiche della rivalità Fine Gael-Fianna Fail
È qui che le strade degli indipendentisti irlandesi si dividono. Una parte del Sinn-Fein, quella che faceva capo all'eroe indipendentista Michael Collins e da cui sarebbe nato una decina di anni dopo il Fine Gael, accettò l'accordo di compromesso, l'altra – guidata dall'allora presidente della Repubblica e poi fondatore del Fianna Fail, Eamon de Valera - lo respinse, criticando la divisione in due dell'Irlanda e il fatto che il Trattato non riconoscesse a Dublino lo status di repubblica indipendente. Seguirono due anni di sanguinosa guerra civile tra quelli che un tempo erano stati compagni di lotta; anni che hanno lasciato ferite mai rimarginate e accuse indelebili tra i partiti eredi di quelle due correnti, rei l'uno di aver assasinato Michael Collins, l'altro di aver perpetrato spietate esecuzioni dei prigionieri politici.
Quelle ferite non si sono mai rimarginate, tramandate di generazione in generazione anche quando la memoria storica dei fatti si è affievolita.
Lo stallo di oggi
Così Fianna Fail e Fine Gael, i due partiti che hanno poi dominato la storia politica irlandese, non hanno mai governato insieme negli anni successivi, pur essendo entrambi movimenti centristi non così distanti come orientamento ideologico e linee d'azione politica. Hanno guidato a turno diverse coalizioni, spesso con i laburisti, come è accaduto nell'ultimo gabinetto di Enda Kenny, quello che ha “traghettato” l'Irlanda fuori dalla crisi.
Il voto del 26 febbraio però ha consegnato un Parlamento più che mai frammentato: 50 seggi su 158 al Fine Gael, 44 al Fianna Fail, appena 7 ai laburisti. Il premier uscente Kenny (Fine Gael) sta lavorando alla costituzione di un possibile governo arcobaleno che tuttavia, senza il Fianna Fail, nella migliore delle ipotesi sarebbe un esecutivo di minoranza. Nessuna maggioranza stabile sembra infatti possibile senza una coalizione tra i due arcinemici, che finora hanno continuato a escluderla. Sempre che la Pasqua 2016 non riservi all'Irlanda un nuovo miracolo politico.
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