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Il Maghreb dietro la Grand Place

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Attacco al cuore dell’Europa

Il Maghreb dietro la Grand Place

MOLENBEEK - A Bruxelles uno stretto canale separa due mondi. Divide le lacrime di chi commemora le vittime dalla paura di chi teme di subire ancor più discriminazioni. È la paura di chi vive a Molenbeek.

Le lacrime e il dolore di chi accende candele e canta slogan contro l'estremismo islamico, la paura di chi teme di subire ancor più discriminazioni di quante già si lamenta di subirne. A Molenbeek nei giovani la paura non di rado si trasforma in una tangibile diffidenza. A volte rasenta il rancore.
Il giorno dopo la strage di Bruxelles, sul grande quartiere battezzato la “roccaforte del jihadismo europeo” grava una cappa pesante. È strano percorrere 15 minuti a piedi dalla Grand Place e dai suoi lussuosi negozi e ritrovarsi in questo angolo in cui tutto ricorda il Maghreb e dove, al di là di qualche giornalista straniera, vedere una donna senza l'hijab (il velo islamico) è piuttosto raro. Se non fosse per i tipici edifici fiamminghi in mattoni rossi, sembrerebbe di ritrovarsi in una città del Nord Africa. Dove tutto ha il sapore dell'Islam. Dagli odori che si sprigionano dai ristoranti, alle musiche, fino ai narghilè.
Qui Chokry Akbar passa inosservato. La sua lunga e candida barba islamica, la bianca veste musulmana che lo ricopre fino ai piedi, cinti dai sandali, tutto ciò attirerebbe l'attenzione dei passanti nelle città italiane. Pakistano, 66 anni, pensionato, Chokry pare il paradigma della divisione generazionale tra la vecchia immigrazione e la quarta generazione. «Abito qui da 34 anni. Non ho paura ma i giovani mi preoccupano. In moschea ormai siamo quasi solo anziani. Capisco che la disoccupazione generi rabbia, ma la rabbia non porta a niente. Questi estremisti non hanno compreso l'Islam. Non sono musulmani. Io trascorro la mia vita tra la casa e la moschea». Chokry è loquace, ma la maggior parte dei passanti si rifiuta di parlare.

A Molenbeek vivono 95mila persone, di cui 40mila di origine marocchina. La percentuale di musulmani è del 45% ma in alcune aree si arriva all'80. Il tasso di chi non ha un lavoro o è inattivo è altissimo, addirittura del 60% tra i giovani musulmani.
Eppure questo distretto, il secondo più povero delle 19 municipalità di Bruxelles (ognuna con un proprio sindaco), era un tempo una fiorente città industriale, dove le fonderie davano lavoro a migliaia di persone. Tanto da meritarsi l'appellativo di piccola Manchester. Poi gli anni di crisi. E l'atteggiamento delle autorità di “delegare” ai leader della comunità musulmana compiti che dovevano essere gestiti quantomeno congiuntamente.
Molenbeek è grande; sei chilometri quadrati che si addossano al centro città come una propaggine disordinata. È facile nascondersi. Chi accetta di parlare spesso nega che il jihadismo abbia trovato un terreno fertile. Fatima, nata in Belgio, ma originaria di Tangeri, arriva a una conclusione che suona paradossale: «Qui non esiste l'estremismo islamico. Molenbeek è tranquilla. Io penso che sia una complotto straniero o dei servizi segreti per colpire l'Islam».
E i numerosi foreign fighters partiti da questo quartiere per unirsi all'Isis in Siria e in Iraq? «Sono stati reclutati da estremisti siriani, che hanno sfruttato la loro rabbia», irrompe la sua amica che si allontana subito, irritata.
Eppure siamo ancora sulla piazza del Municipio. E se da un lato c'è il municipio presidiato da mezzi dell'esercito e difeso da barriere, giusto sul lato opposto si trova un edificio bianco dove ha vissuto fino all'anno scorso un certo Salah Abdelslam, vale a dire il terrorista fantasma ricercato per la strage del 13 novembre a Parigi e catturato sabato scorso a pochi chilometri da qui.

Sono troppi i precedenti per parlare di caso fortuito. A Molenbeek, una cellula qaedista aveva organizzato l'assassinio del leggendario comandante afghano Shah Massoud, nemico dei talebani, il 9 settembre 2001. Sempre qui è stata pianificata la strage alla stazione ferroviaria di Madrid del 2004. E tra le case in mattoni di questo quartiere ha vissuto per mesi anche uno dei due fratelli Kouachi, gli autori della carneficina nella redazione parigina di Charlie Hebdo. Sempre a Molenbeek aveva trovato ospitalità per mesi Mehedi Nemmouche, l'autore dell'attentato al museo ebraico di Bruxelles nel maggio 2014, costato la vita a quattro persone. E ancora qui ha vissuto Ayoub el-Khazani, il terrorista che l'estate scorsa aveva cercato di aprire il fuoco a bordo del treno Amsterdam-Thalys diretto a Parigi. Molenbeek. Sempre Molenbeek. Dove è cresciuto Abdelhamid Abaaoud, la presunta mente degli attentati di Parigi, ucciso in novembre dalle forze speciali francesi.Sempre in questo quartiere, dove trovare un'arma non è un'impresa, sono state comprate la piccola mitragliatrice e la pistola utilizzate nell'attentato nel negozio kasher a Parigi. Ed è stata noleggiata la Volkswagen Polo nera usata dal “commando del Bataclan”.
Il problema esiste, è evidente. Qualcuno che fiancheggia i terroristi ci deve pur essere. Ma chi accetta di conversare apertamente preferisce parlare dei fattori che, a suo avviso, avvicinano i giovani all'Islam radicale. «Quando sento parlare di musulmani moderati mi monta il sangue alla testa. Tutti i musulmani sono moderati, l'estremismo non appartiene all'Islam. Io un lavoro ce l'ho, e posso mantenere la famiglia. Ma vi assicuro che la radicalizzazione è figlia della disoccupazione e dell'emarginazione», precisa Salim, marocchino, tre figli. «È stata una strage terribile. Noi musulmani siamo molto addolorati. Ma siamo anche le prime vittime di questo estremismo. La gente a Molenbeek non vuole la criminalità, ripudia l'estremismo. Siamo 700mila musulmani in Belgio. I terroristi saranno qualche decina. Al massimo».
Nella piazza da cui parte la Rue Ribacourt i bar ricordano quelli di Fez. E la clientela sono soprattutto giovani seduti all'esterno, lo sguardo perso nel vuoto.Quando cerchiamo di filmare l'interno del pittoresco locale uno di loro si alza, urla, vuole il telefonino per controllare che non siano state scattate foto. Non demorde. Minaccia. «Non siete i benvenuti», ci urla contro fino a invitarci ad andarcene via. Ma c'è anche una diversa Molenbeek. Quella di giovani aperti e integrati, che ripetono incessantemente: «La soluzione vincente è l'integrazione. Il peggior nemico del radicalismo».

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