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Perché (almeno) in Francia il terrorismo non nasce…

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dopo gli attacchi di bruxelles

Perché (almeno) in Francia il terrorismo non nasce nelle banlieu

Lapresse
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Gli attentati di Bruxelles di questa settimana, come quelli di Parigi del 2015, hanno portato alcuni osservatori non francesi ad affermare che questi atti sono (anche) il frutto della ghettizzazione delle banlieues. Credo che si tratti di affermazioni potenzialmente pericolose perché basate esclusivamente su stereotipi sapientemente alimentati per giustificare, almeno nel corso degli utltimi trenta-quarant'anni, una serie di politiche elettoralistiche.

Le cosiddette Cités, o Banlieues, sono state costruite per lo più tra gli anni cinquanta e sessanta. La loro vocazione era quella di ospitare le famiglie delle classi popolari alfine di offrire loro condizioni di vita migliori, rispetto a quelle delle abitazioni in città, spesso sprovviste di servizi igenici. Tra gli inquilini di questi nuovi quartieri figuravano anche le famiglie dei rappartiés: i francesi che rientravano in patria dalle colonie che la Francia stava lentamente perdendo. Migliorando le proprie condizioni sociali, i primi occupanti iniziarono a lasciare questi quartieri, facendo spazio a nuove classi popolari.

Ma, nel frattempo, la congiuntura economica era cambiata. Con gli anni settanta, la disoccupazione iniziò a crescere e il parco immobiliare pubblico, che era la colonna vertebrale di queste periferie, si ritrovò ad ospitare un numero sempre più importante di famiglie senza grandi risorse finanziarie. Tra queste figuravano anche molti nuclei provenienti dalle ex colonie del nord Africa, cosi come degli esuli di alcuni paesi europei, i cui discendenti erano diventati già francesi per nascita. Le “esigenze” di queste fasce della popolazione sono state utilizzate da politici in cerca di successi elettorali, che non hanno esitato a utilizzare la carta dell'alloggio popolare, per assicurarsi il voto di questi elettori.

La distanza tra questi quartieri e il resto della République divenne via, via, sempre più marcata. Ma è proprio qui che occorre riflettere. In effetti i governi francesi del dopoguerra non hanno praticamente mai smesso di destinare risorse economiche per offrire, ad esempio, un'educazione di buon livello a tutti i bambini e giovani di Francia. Risorse importanti sono state investite nell'edilizia popolare, anche dopo gli anni del boom economico. Tutto questo mentre il peggioramento della congiuntura interessava tutta la società – indubbiamente a livelli differenti – e non solo le sue fasce più deboli. Fatta questa premessa, è più facile capire perché lascino di stucco quelle affermazioni che definiscono gli atti terroristici avvenuti negli ultimi anni in Francia e Belgio, come una reazione “spiegabile” con la mancanza di integrazione delle minoranze.

Da abitante di una delle città che ancora piange le proprie vittime, mi chiedo come sia possibile pensare anche solo per un istante che i terroristi di Charlie Hebdo, del 13 novembre e del 22 marzo (oltre che a quelli della scuola ebraica di Tolosa e del museo ebraico di Bruxelles) hanno agito “per rabbia” e in risposta a delle presunte condizioni di vita degradate, insopportabili, umilianti. Lasciatemi ricordare che lo stato sociale francese fa di tutto per evitare a dei residenti francesi (non solo ai cittadini) di rimanere senza risorse e ai margini della società. Sussidi di disoccupazione, sanità ed educazione gratuite, trasporti pubblici a prezzi moderati, sono solo alcuni strumenti per “risalire la china” e favorire il reinserimento nella società, offerti dalla Francia a coloro che si trovano in difficoltà.

Prima di affermare quanto citato sopra, bisognerebbe sapere ciò di cui si sta parlando. Per dare qualche esempio concreto, basti pensare che l'azienda dei trasporti dell'Ile-de-France riconosce uno sconto del 75% sulle proprie tariffe, agli immigrati irregolari che beneficiano (tra l'altro) gratuitamente dell'AME, ovvero l'Assistenza Medica Pubblica. Un'altro esempio concreto è dato dalla CAF, la Cassa delle Allocazioni Familiari, che ogni anno eroga milioni di euro alle famiglie con risorse limitate. Delle sovvenzioni che, in Italia, molte giovani coppie di italiani apprezzerebbero moltissimo, soprattutto alla nascita dei loro primi figli. Delle sovvenzioni che sono oggetto di abusi e di truffe. Già perché anche in Francia non mancano “i furbetti” e i “fannulloni”. In effetti ci sono delle giovani che fingono di crescere sole i propri figli per poter tranquillamente incassare il sussidio destinato ai parent isolé (genitori single), evitando di lavorare, e ottenere in aggiunta un appartamento nelle case popolari. Altri furbetti fanno di tutto per lavorare il meno possibile per poter beneficiare dei sussidi di disoccupazione. Va ricordato che tra i terroristi che hanno ucciso decine di innocenti figuravano anche dei beneficiari di alcuni di questi sussidi.

È chiaro che di fronte a premesse di questo tipo, sia più complicato parlare di convivenza e di collaborazione tra le varie comunità. Ma bisogna farlo e si deve aver il coraggio di andare al di là delle apparenze, chiamando le cose con il proprio nome. Già perché coloro che commettono dei reati sono dei criminali indipendentemente dalle loro origini, dalla loro storia e dalla loro religione. Dire che abusare dello stato sociale, spacciare droga o rapinare, è un un reato, non significa mancare di rispetto a nessuno ma, semplicemente, constatare un fatto. Utilizzando questo punto di osservazione, si può riuscire anche a eliminare alla fonte ogni possibile discriminazione ed evitare a dei furbetti di invocare delle giustificazioni assurde per coprire le proprie magagne.

Ma, ripeto, per scegliere di vedere la realtà da questo punto di osservazione, serve coraggio perché si può rischiare di subire delle ritorsioni anche violente. Significa voler denunciare le strumentalizzazioni di coloro che approfittano delle debolezze di alcuni giovani e che li trasformano in terroristi. È il caso di certi imam francesi “progressisti” che, già da tempo, affermano a gran voce che gli atti terroristici non si possono giustificare in nome dell'Islam. Tra questi figura l'Imam di Nîmes, Hocine Drouiche che, in un suo intervento del 1° luglio 2015 al Parlamento Europeo di Bruxelles aveva ricordato che “nel luglio 2014 si è tenuta una manifestazione pro-palestinese durante la quale si è sentito gridare “morte agli ebrei”. E nessun rappresentante dell'islam in Francia si è per questo indignato!”. Nella stessa occasione, Drouiche aveva anche sottolineato come “l'islam politico si allontana sempre di più dall'islam dell'umanesimo, dell'apertura e della tolleranza. Esso è trasformato in una ideologia che strumentalizza la religione per fini che sono contrari ai precetti stessi della religione”. “Questi tristi attentati – continuava l'Imam di Nîmes - hanno messo a nudo la visione falsa e snaturata di tale discorso, e soprattutto distante dai valori democratici europei”.

Serve anche coraggio per dire che in Europa siamo davvero tutti minacciati dal terrorismo e che dobbiamo guardare negli occhi chi ci minaccia. Dobbiamo ricordarci che su questo continente ci siamo combattuti per secoli ma che siamo stati capaci, negli ultimi settant'anni, di costruire la pace. Abbiamo fatto tutto questo – senz'altro con risultati a volte troppo timidi – perché, in fondo, abbiamo capito che ci accomunano tante cose. Abbiamo ricevuto un'eredità importante dalla nostra storia, dalle nostre tradizioni, dalle nostre religioni.

Tutte cose queste che dobbiamo ricordare e non demonizzare. In effetti solo coloro che hanno secondi fini riescono a vedere del male nel fatto che si possa ricordare il perché oggi, noi europei, siamo ciò che siamo. Non si tratta di dimenticare degli errori del passato ma proprio di mostrare che siamo stati capaci di evolvere e di migliorarci. Non si tratta nemmeno di prendere per buono tutto ciò che viene deciso a livello europeo né di voler rinnegare le specificità gli europei possiedono. Nell'Unione Europea parliamo almeno ventotto lingue diverse e siamo i depositari di ventotto storie nazionali diverse. Questo deve diventare un punto di orgoglio che ci aiuterà a difenderci meglio dalle minacce contro l'Europa. Se ci dimentichiamo questo ci perderemo e lasceremo una pesante eredità ai nostri figli.


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