Mondo

«La manifattura italiana sa tradurre in tecnologia la ricerca teorica»

  • Abbonati
  • Accedi
intervista / Gian maria gros-pietro

«La manifattura italiana sa tradurre in tecnologia la ricerca teorica»

È stato chiarissimo Gian Maria Gros-Pietro nel convegno sul manifatturiero organizzato ieri a Chicago dall’Italian Trade Agency dall’Ice, che le nostre dinamiche competitive di nicchia, il nostro spirito di adattamento che caratterizza le piccole medie imprese manifatturiere e soprattutto meccaniche italiane ci ha consentito di restare a galla in una dinamica concorrenziale globale a dir poco furiosa. Abbiamo assorbito il colpo della crisi del 2007/2009, quando la Germania con le politiche di austerità cercava di metterci fuori mercato accettando di fatto un differenziale sui tassi che rendeva impossibile finanziare le commesse per molte delle nostre imprese.

Abbiamo capitalizzato sulle tecnologie al laser che consentono «tagli» sulla lamiera più precisi e molto diversi da loro in un contesto che consente l’introduzione di sistemi produttivi flessibili e a contenuto diversificato. Questo ha di fatto reso «arretrato» il vecchio metodo di stampa. Non solo, l’altra grande innovazione che ci ha consentito di avere nel settore macchine utensili i risultati che abbiamo avuto, come ha ricordato più volte il Presidente dell’Ucimu Luigi Galdabini c’è l’introduzione ormai alcuni anni fa della tecnologia a stampa tridimensionale, che consente di introdurre una grande efficienza ad esempio nello stoccaggio di parti di ricambio: ora possono essere ordinate con un file elettronico. Tutto benissimo dunque, ma con un’altra sfida che si profila: che ruolo avrà il nostro settore bancario nell’appoggiare questo settore? Che ruolo avranno le banche nel sostenere progetti di sviluppo per consentire a piccole aziende che spesso hanno difficoltà ad ottenere credito per finanziare l’innovazione? Ne abbiamo parlato con Gian Maria Gros-Pietro, uno dei più grandi esperti italiani di dinamiche inustriali e produttive, professore alla Luiss, Presidente del Consiglio di Gestione di Banca Intesa San Paolo e Presidente designato per avviare un’epoca nuova della banca con la fine del sistema duale e con Giovanni Bazoli che resta presidente emerito.

Gros Pietro oggi non vuole parlare di successione, ma parla volentieri del ruolo che vede per una istituzione come Banca Intesa per appoggiare la spina dorsale dell’economia italiana, quella miriade di piccole medie imprese, quelle aziende che grazie alla combinazione di creatività e alta tecnologia riescono a competere con successo sui mercati mondiali: «La prima delle cose è capire da Banchiere qual è il processo che porta certe aziende ad avere successo, e questo credo che in banca lo abbiamo capito - dice Gros Pietro -. Queste nostre imprese riescono ad avere successo perché hanno straordinarie capacità applicative: riescono a tradurre in tecnologia e prodotti molti aspetti della ricerca teorica. Riescono ad essere in contatto con il cliente, ad anticipare le loro esigenze e se non hanno una risposta immediata la cercano nelle università intorno al mondo e poi la traducono rapidamente in un risultato concreto».

Gros-Pietro ha anche identificato una curva che mostra come le nostre aziende riescono a sfruttare al meglio questo modello, allargando le loro possibilità di azione sia a monte che a valle. Non c’è dubbio che la sua visione per le prospettive e per lo sviluppo di questo settore chiave per la nostra economia contribuirà all’identificazione di un percorso molto preciso per il ruolo di Banca Intesa San Paolo ma anche del settore bancario in genere. E mi illustra dei dati che aiutano a capire questo percorso: «Un primo dato - mi dice - riguarda l’esposizione di molte aziende italiane nei confronti del settore bancario: parliamo del 68% di passività di natura bancaria contro un 20% per gli Stati Uniti d’America. Queste cifre non sono più sostenibili. Lo impongono le nuove regole europee, ma lo impone anche il nuovo modo di fare affari e la necessità di impostare un rapporto nuovo fra finanza e imprese».

Per Gros-Pietro si impone un periodo di cambiamenti strutturali che poggia su quattro pilastri centrali. Il primo, Banca Intesa San Paolo aiuta l’innovazione intrasettoriale: « Mi spiego, come banca vediamo operazioni e attività di sviluppo molto diverse fra loro, in settori diversi, possiamo ad esempio mettere insieme un produttore che ha innovato sul fronte della chimica con un produttore della meccanica. Abbiamo insomma un bagaglio di informazione e know how che può e deve essere ottimizzato. Svolgiamo in sostanza un ruolo di intermediazione. Le aziende inoltre dovranno sempre più rivolgersi a capitale di rischio che possa finanziare le attività nel medio lungo termine. E questi sono strumenti finanziari già sul mercato che possiamo convogliare verso le aziende». Un altro problema è che spesso le aziende sono molto piccole a hanno difficoltà a mettere insieme complesse informazioni contabili e finanziarie nel rispetto delle nuove richieste dei regolatori bancari. «In questo caso interviene la filiera - dice Gros-Pietro - ci fidiamo dei nostri clienti che conoscono clienti più piccoli che hanno rapporti di lavoro forti e continuativi e consideriamo le loro informazioni sostitutive di procedure contabili eccessive». Infine resta il ruolo della banca tradizionale: «Quello ci sarà sempre - chiude Gros-Pietro - ma così come le imprese innovano a monte e a valle, allo stesso modo noi le dobbiamo accompagnare in questa nuova fase della competitività globale aiutandole a diversificare sia il rischio che l’approvvigionamento finanziario. Per il loro bene, e per il nostro».

© Riproduzione riservata