Mondo

Bruxelles dieci giorni dopo le stragi: microscopici gesti di resistenza…

  • Abbonati
  • Accedi
LA CITTà DOPO GLI ATTENTATI

Bruxelles dieci giorni dopo le stragi: microscopici gesti di resistenza quotidiana contro il terrore

Come si vive a Bruxelles dieci giorni dopo gli attentati all'aeroporto e alla stazione della metropolitana? Come risponde la gente a eventi così gravi e spaventosi? Ci aspettavamo che qualcosa potesse succedere qui dopo le stragi di Parigi e il lockdown di novembre dello scorso anno, ma nessuno sapeva come la città avrebbe risposto alla prova dei fatti.

Non appena ci è arrivata la notizia delle esplosioni abbiamo naturalmente cercato amici, familiari e colleghi, anche chi non doveva trovarsi a Zaventem o a Maelbeek. Vivo a Bruxelles da 15 anni e credo di aver sentito un centinaio di persone il giorno degli attentati. Mentre non riesco a immaginare la disperazione di chi ha perso una persona amata, la sorte ha voluto che fra le vittime non ci fosse nessuno dei miei affetti. Lo stesso vale, fortunatamente, per gli amici con cui ho parlato. Assieme al sollievo per la tragedia scampata (potevo esserci anch'io, poteva esserci mio figlio), in molti abbiamo espresso stupore. Ci è sembrato un caso improbabile non conoscere personalmente nessuna delle vittime; è come se non riuscissimo a considerarla fino in fondo una tragedia che riguarda altri.

La seconda risposta, contemporanea alla prima e meno prevedibile, è stata un'inestinguibile sete di notizie. Scambiandoci le nostre impressioni, ci siamo resi conto di essere rimasti tutti incollati alla TV e all'Internet per giorni. Il risultato è che finiamo per parlare di particolari minutissimi. Per esempio, un amico mi ha fatto notare che la bomba a Maelbeek è scoppiata in una carrozza vecchia. I treni nuovi che transitano su quella linea non hanno i vagoni separati. Il conto delle vittime sarebbe stato più alto se l'ordigno fosse esploso in uno di quelli. Un'altra persona mi racconta della decisione di arrivare in ritardo alla riunione a Schuman, la fermata dopo Maelbeek. Un ritardo che forse le ha salvato la vita. E l'altro amico ancora, con la famiglia in aeroporto pronto a partire per le vacanze pasquali: tutti salvi per questione di metri. E i giovani stagiaires delle istituzioni europee e delle rappresentanze diplomatiche, senza soldi a sufficienza per acquistare un altro biglietto da Parigi o da Amsterdam e tornare a casa per trascorrere la Pasqua in famiglia: alla fine sono rimasti e in molti domenica si sono ritrovati per un pranzo comunitario. Siamo consapevoli che si tratta di dettagli quasi insignificanti nel contesto della grande tragedia, eppure ci appaiono indispensabili. Dobbiamo inserire il maggior numero di elementi possibile nella storia del 22 marzo che ciascuno di noi si costruisce nella mente. Ci serve per dare un senso a ciò che stiamo vivendo; uno qualsiasi, anche improbabile o irragionevole. Ne abbiamo bisogno per attenuare l'intollerabile presenza nei nostri pensieri di una realtà che non siamo in grado di comprendere.
Dopo la Pasqua la risposta agli attentati è diventata necessariamente più collettiva. Chi è tornato subito dopo la pausa ha dovuto riprendere i gesti quotidiani: uscire in strada, andare al lavoro, comperare latte e pane. Ciò che fino a qualche giorno prima si faceva così, senza pensarci era diventato oggetto di attenta riflessione. Come abbiamo affrontato la questione? Ho l'impressione che ci siamo divisi in due gruppi: da una parte c'è chi fa come Martin, il collega che ha deciso di evitare i luoghi affollati e di non prendere mai più la metropolitana. Sono certo che cambierà idea, ma occorre avere rispetto: la sua determinazione è autentica e sentita profondamente. La mia amica Laura invece rappresenta l'altro campo: mi dice che esce più spesso di prima la sera, va al ristorante e gira in metropolitana anche se non hanno ancora riaperto la stazione vicino casa sua. Laura mi ha fatto notare un'altra cosa. Nei nostri spostamenti per la città, siamo diventati più consapevoli di chi ci sta intorno e non tanto per paura o sospetto; ci guardiamo per stabilire un'intesa. Sentiamo che i gesti quotidiani, come vedersi alla brasserie con gli amici o girare per negozi, sono diventati microscopici gesti di resistenza contro il terrorismo. Chissà se e quanto dura, ma siamo diventati meno distratti verso gli altri e un po' più gentili, meno indifferenti e più rispettosi.
Per ultimo, vorrei raccontare qualcosa che ho osservato con sorpresa dentro di me. Scrivendo a mia figlia, che studia all'estero, la sera degli attentati mi sono reso conto dello spazio che Bruxelles effettivamente occupa nel mio animo. Come ho detto, sono venuto a vivere qui diversi anni fa, ma solo il 22 marzo ho capito il sentimento intimo che provo, e chissà da quanto tempo, per la città. Vedere le strade del centro deserte la notte dell'attacco mi ha riempito di angoscia e di rabbia. Ricordo di aver pensato distintamente: “Non fate questo alla città”. Bruxelles ha tanti problemi, lo sappiamo, ma chi ci vive sa che è una città aperta, creativa e autenticamente cosmopolita. Vederla colpita in questo modo mi è apparso insensato e profondamente offensivo sul piano personale.
Ecco cosa succede a Bruxelles dopo gli attentati. Verrà il momento per capire come governare, amministrare e difendere meglio la città, per curare la metastasi sociale che produce ragazzi pronti a darsi la morte pur di seminare il terrore, per estirpare le radici del terrorismo qui e altrove. Per il momento, siamo occupati a tenerci più vicini l'un l'altro e a fare resistenza con i semplici gesti quotidiani.

© Riproduzione riservata