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L’incubo del nucleare in mano all’Isis

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il summit di washington

L’incubo del nucleare in mano all’Isis

Non si è riunito all’ombra di un fungo atomico. Ma la minaccia resta: quella di “cocci” radioattivi sparati all’impazzata da un rudimentale ordigno esplosivo. Di una dirty bomb, di una bomba sporca, che sfidando sforzi e promesse degli ultimi anni ora potrebbe essere a portata di mano - o di guanto - di gruppi terroristi a cominciare da fanatici decisi a immolarsi per lo Stato Islamico.

Il Nuclear Security Summit internazionale di Washington, convocato da Barack Obama e al quale partecipano da ieri oltre 50 capi di Stato e di governo dalla Cina all’Italia, dal Giappone alla Corea del Sud, prende le mosse dalla memoria fresca degli attentati di Bruxelles e prima ancora di Parigi e San Bernardino. E guarda con preoccupazione allo spettro delle tragedie ancora più devastanti che avrebbero provocato se i terroristi fossero stati in possesso di simili materiali. Se avessero cioè detonato uranio o plutonio radioattivi, rastrellati sul mercato nero o rubati dagli innumerevoli siti spesso civili - da depositi a reattori e ospedali - tuttora malprotetti e sparsi per il mondo.

L’allarme si è fatto strada nell’agenda esplicita del vertice: per la prima volta dal suo debutto nel 2010 organizza una sessione interamente alle risposte al terrorismo urbano e a simulazioni di strategie per affrontare imminenti attentati atomici. E proprio il Belgio, teatro dell’ultimo massacro, è una delle frontiere atomiche più allarmanti agli occhi dell’amministrazione americana: i consiglieri per la sicurezza nazionale della Casa Bianca denunciano disorganizzazione e incapacità nelle indagini da parte dalle autorità locali, che ora stanno aiutando. E ricordano come la vulnerabilità del Paese nel cuore dell’Europa sia emersa fin dal 2014: da allora un impianto nucleare è finito vittima di sabotaggio, uno scienziato è stato spiato ed è venuto alla luce l’esodo di dipendenti del settore alla volta di Siria e Iraq per combattere sotto le bandiere di Isis. Assieme a Pechino e altri sei Paesi, Bruxelles riceve il voto più basso dagli esperti per la ciber-sicurezza dei suoi impianti.

Altri gravi focolai di preoccupazione sono la Russia, che ha disertato il vertice e mette oggi all’indice qualunque negoziato sulla neutralizzazione di materiale atomico sotto la leadership statunitense. La Corea del Nord, con la sua escalation di esperimenti atomici. E il Pakistan, un alleato scomodo che ha sposato una nuova generazione di armi nucleari tattiche di piccole dimensioni più difficili da tenere sotto chiave. Islamabad non viene più considerata una capitale sicura quando si tratta di arsenali atomici.

I grandi numeri del nucleare tradiscono i passi avanti incompleti. L’amministrazione Obama, oggi al tramonto, in sei anni può vantare l’eliminazione di quasi tremila chilogrammi di uranio arricchito utilizzabile a scopi militari e successi in Paesi che vanno dall’Ucraina, dove sono stati resi innocui 250 chili di uranio buono per otto bombe, al Giappone, dove sono stati rimossi uranio e plutonio equivalenti a 40 bombe. Fino al Cile, all’Ungheria, al Vietnam, all’Austria, alla Libia, alla Turchia. Ma il budget della Casa Banca per questa campagna contro il rischio del “nucleare diffuso”, una delle ragioni valse il premio Nobel per la pace a Obama nel 2008, è stato dimezzato a 400 milioni di dollari l’anno rispetto agli albori. E meno della metà delle nazioni che hanno partecipato al precedente summit due anni or sono - già solo il 15% dei membri della International Atomic Energy Agency - hanno sottoscritto impegni a “disinnescare” le loro scorte radioattive.

Gruppi quali il Nuclear Threat Initiative mettono oggi più che mai in guardia dai troppi materiali nucleari tuttora inadeguatamente supervisionati su scala globale e che fanno temere la comparsa di una bomba sporca. «L’obiettivo di un sistema di sicurezza nucleare globale rimane inevaso», afferma, con scarsi progressi nell’ultimo biennio. A dodici Paesi che, spronati dalla leadership di Obama nonostante i summit siano stati criticati per propositi troppo vaghi, hanno accettato la completa rimozione di “magazzini” pari a 130 armi atomiche, si contrappongono almeno altri 25 che hanno a disposizione senza remore quantità di materiali pericolosi capaci nelle mani sbagliate di dar vita a migliaia di ordigni esplosivi in grado di far strage di centinaia di migliaia di persone. La combinazione con il desiderio di Isis, intercettato dall’intelligence, di impadronirsi e utilizzare simili strumenti di distruzione di massa fa impallidire le tragedie finora sofferte ad opera del terrorismo. Un’eredità pesante per il prossimo presidente americano americano.

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